Ancona
L’armistizio dell’8 settembre 1943 segnò per l’esercito italiano un momento di sbando, le truppe furono lasciate senza guida e senza direttive. Ad Ancona gli ufficiali avevano trattenuto i giovani militari di leva nelle locali caserme Villarey e Cialdini fino a nuovo ordine. Il 13 settembre i primi carri armati tedeschi entrarono in città, l’occupazione cominciò proprio dalle caserme. I soldati che non erano riusciti a scappare vennero arrestati e consegnati in caserma in attesa di essere inviati nei campi di concentramento. Si attivò una rete di solidarietà popolare con l’intento di liberare i soldati rimasti segregati nel presidio di Villarey, numerosi cittadini entrarono nella caserma passando per le finestre o per cunicoli sotterranei, scavalcando al buio il muro di cinta o entrando col pretesto di fare dei lavori, per permettere ai giovani soldati di fuggire: “Dobbiamo rimediare tute da lavoro, fare cappelli di carta da imbianchini, trovare abiti civili. Io li porterò dentro alla caserma e li darò ai soldati. Questi in un modo o nell’altro usciranno” (Alda Lausdei in Caimmi 1996, p. 166).
Uno dei principali luoghi di resistenza civile fu l’ospedale Umberto I, dove il personale sanitario si adoperò in diverse attività a sostegno della popolazione. Di rilievo anche il lavoro svolto dagli operai del cantiere navale i quali crearono intralci alla produzione di commissioni tedesche e nel contempo cercarono di salvare i macchinari dai bombardamenti assai frequenti nella zona del porto. Venne anche provocato un crollo dell’intero edificio dei magazzini generali del cantiere per permettere di conservare sotto le macerie molto materiale utile e prezioso nei mesi successivi alla liberazione.
Dopo l’8 settembre, nel territorio della provincia di Ancona, si era subito organizzata la lotta armata. Fino alla fine dell’anno le azioni partigiane si erano concentrate in atti di sabotaggio nei confronti dell’esercito nazifascista e di assalti alle locali caserme dei carabinieri per recuperare le armi. I sabotaggi continuarono per tutto l’inverno e il 2 febbraio 1944 una cinquantina di uomini dei gruppi di Fabriano e Poggio San Romualdo, presso la stazione di Albacina, attaccarono un treno che trasportava circa 700 giovani destinati all’esercito repubblichino.
Nel periodo che va dal gennaio del 1944 fino alla liberazione, le organizzazioni partigiane aumentarono la loro attività di guerriglia e ci furono numerosi scontri diretti con l’esercito nemico. I tedeschi passarono all’offensiva attuando rastrellamenti serrati in tutta la zona dell’anconetano, tra i quali il più feroce fu quello effettuato a Monte Sant’Angelo, vicino Arcevia, in cui persero la vita circa 50 persone tra partigiani e civili.
La figura di maggior spicco della resistenza anconetana e marchigiana fu, fino a febbraio del ’44, Gino Tommasi (Annibale), il quale fu catturato dai tedeschi e deportato nel campo di concentramento di Mathausen, dove poi morì l’anno successivo. Dopo il suo arresto il comando della brigata Ancona passò al suo vice Amato Tiraboschi (Primo). In aprile si costituì la V Brigata Garibaldi Marche la cui base operativa fu posta all’Aspio, a circa 10 km da Ancona, e il Comando generale delle Brigate Garibaldi nominò comandante Alessandro Vaia (Alberti), mentre come commissario politico fu incaricato Rodolfo Sarti (Ernesto). La località scelta se pur poco difendibile perché molto scoperta, aveva il vantaggio di essere in una posizione strategica per raggiungere facilmente sia Ancona che Macerata, oltre che Osimo e Cingoli. I gruppi partigiani e i relativi distaccamenti si stanziarono principalmente nelle zone interne e collinari della provincia, mentre nella zona costiera e nella Vallesina fu maggiore la partecipazione dei GAP cittadini.
I BOMBARDAMENTI
Tra l’ottobre del ’43 e il gennaio del ‘44 la provincia di Ancona fu interessata da numerosi bombardamenti. Il 16 ottobre ci fu il primo bombardamento della città di Ancona a cui ne seguirono altri, tra cui quello più duro del 1° novembre 1943. Il 16 ottobre 1943 ci fu il primo bombardamento della città di Ancona. La zona colpita fu quella nelle vicinanze della stazione ferroviaria, nella zona degli Archi e della Palombella, lungo via Marconi, C.so Carlo Alberto e via De Pinedo. Crollarono numerosi edifici, ci furono circa 200 vittime e circa 300 feriti tra gravi e leggeri. La mattina del 1° novembre ci fu un nuovo bombardamento pesante sulla città. Fu interessata la zona del porto, il rione Guasco, il rione San Pietro, le vie adiacenti che oggi compongono il centro storico di Ancona. Il cantiere navale subì danni ingenti, la Nave Reale Savoia, colpita dalle bombe, si adagiò su un fianco e affondò. Il rifugio di via Fanti, nel quale avevano cercato protezione gli abitanti del quartiere San Pietro, i carcerati del carcere di Santa Palazia e le ospiti dell’orfanotrofio Birarelli, fu raggiunto dagli ordigni ad uno degli imbocchi e divenne la tomba di circa 400 persone. I soccorritori riuscirono ad estrarre circa 150 cadaveri, le restanti vittime rimasero per sempre sotto le macerie. Complessivamente le vittime del bombardamento del 1° novembre furono circa 2000. L’8 dicembre veniva bombardata la zona del Piano, Piazza d’Armi e i quartieri adiacenti: il Pinocchio, Posatora, le Palombare, le Grazie. Furono danneggiate molte abitazioni, interrotte le vie di comunicazione, distrutto il manicomio provinciale di Viale Cristoforo Colombo. Ci furono 42 vittime e una trentina di feriti. Alla fine del conflitto, sulla città di Ancona, si contarono circa 200 bombardamenti, alcuni dei quali anche navali, e diversi quartieri della città andarono completamente distrutti, tra cui il più devastato fu il quartiere del porto.
LA LIBERAZIONE
Nel mese di luglio nella provincia di Ancona vi fu il passaggio del fronte con combattimenti su tutta la zona, che facevano seguito a un lungo periodo di bombardamenti pesanti su città e paesi. L’insieme degli scontri avvenuti nel mese di luglio prendono il nome di “battaglie di Ancona” perché l’obiettivo che si ponevano gli alleati era la conquista del porto di Ancona. Le battaglie per la conquista del porto avvennero in due fasi, la prima prese avvio a Loreto il 2 luglio dove i polacchi erano entrati il giorno precedente; il 4 luglio venne liberata Castelfidardo e il 6 luglio Osimo. Il 9 luglio il CIL (Corpo italiano di liberazione) liberò Filottrano. Conquistati questi paesi in posizione dominante rispetto ad Ancona, prese avvio il piano per la conquista del porto (seconda battaglia di Ancona). Si trattò di un’operazione di accerchiamento che aveva come punti di riferimento il Monte della Crescia, Offagna, Casenuove per poi proseguire verso Chiaravalle e Falconara M. ma toccando Agugliano, Sappanico e Polverigi. Il 14 luglio, quando l’esercito si trovava in prossimità di Ancona, una delegazione del comando Gap si incontrò con il comando alleato per proporre la propria collaborazione alla liberazione della città. Ma di fronte al ritardo di alcuni giorni della avanzata alleata, i Gap locali si mossero ugualmente, impegnando l’esercito tedesco in ritirata nella zona di Sappanico, Agugliano e Polverigi.
Il 18 luglio 1944 la città venne liberata dal II corpo d’Armata polacco afferente all’VIII armata alleata.
Bibliografia
Anpi, La Resistenza nell’anconetano. Dalle prime lotte antifasciste alla liberazione, Ancona 1963.
C. Caglini, Bombardamenti su Ancona e provincia 1943-1944, Ancona 1983.
W. Caimmi, Al tempo della guerra. Remel, Ancona 1996.
M.G.Camilletti (a c. di), Le donne raccontano: guerra e vita quotidiana. Ancona 1940-1945, Ancona 1992.
G. Campana (a c. di), La battaglia di Ancona del 17-19 luglio 1944 e il II Corpo d’Armata polacco, Errebi, Falconara M.ma 2001.
G. Campana, R. Giacomini (a c. di) Quando la morte venne dal cielo. Il bombardamento aereo di Falconara del 30 dicembre 1943, Errebi, Falconara 2003.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.