Filottrano

Comune della provincia di Ancona, Filottrano e le sue frazioni si estendono su un territorio collinare di circa settanta chilometri quadrati. Attraverso le testimonianze e le carte riservate delle principali autorità locali della Repubblica di Salò è possibile ricostruire, utilizzando tutti i filtri metodologici del caso, la storia di guerra e di Resistenza vissuta da questa cittadina.

Il 28 febbraio, alle ore 23, una banda (probabilmente appartenenti al gruppo “Porcarella”) si portò in località Centofinestre di Filottrano a bordo di tre autocarri pesanti. Riuscirono a penetrare nella villa adibita a Comando della Legione della Guardia di Finanza, sfollato da Ancona, e nonostante la presenza di 45 persone tra ufficiali e sottoufficiali i partigiani s’impossessarono di armi, munizioni, viveri e vestiario.

Il 16 marzo 200 ribelli armati penetrarono nella caserma dei carabinieri di Filottrano e s’impossessarono di moschetti, pistole, caricatori di cartucce, bandoliere, cappotti di panno e di una somma in denaro costudita nella cassaforte. I soldati non subirono alcuna violenza. Il giorno successivo una decina di partigiani circondò una pattuglia di carabinieri in servizio e si fece consegnare il moschetto, la pistola e la bandoliera. Gli stessi si recarono poi in una rivendita del luogo dove trafugarono delle sigarette e, infine, fecero irruzione nella Caserma della Finanza asportando una motocicletta.

Il 6 aprile verso le 19 patrioti armati di mitra e pistole automatiche avrebbero fatto irruzione nella piazza di Filottrano. Dopo aver distrutto il centralino telefonico si impossessarono dell’autocorriera del servizio pubblico Filottrano-Jesi-Osimo, che conducevano alla volta di Cingoli (Giacomini, 2008 p.214-218).

Il 16 aprile alcuni partigiani provenienti da Cingoli avrebbero ucciso a Filottrano due militari tedeschi provenienti da Jesi. Altri due sarebbero stati feriti. La sera stessa, dopo il copri fuoco, per le vie di Filottrano risuonavano i passi delle truppe tedesche. Venne appiccato il fuoco in tre case e poi, stranamente, scese il silenzio della notte. La rappresaglia era prevista per la mattina successiva. Come ricorda nel suo memoriale lo scrittore filottranese Igino Lardinelli, allora Segretario del Fascio: ≪…vidi una ventina di uomini col petto al muro e le mani alzate. Ma non stavano fermi: abbassavano le braccia, si voltavano, tentavano di andarsene così che alcuni soldati tedeschi in pieno assetto di guerra li costringevano al posto da loro voluto e nel modo voluto, con cassate di fucile alla schiena, puntando loro al petto, alle spalle la bocca dei mitra. E poi, un vecchio, in ginocchio, le mani giunte in preghiera, dinanzi a un soldato che lo tirava per quei capelli tutti bianchi, urlava con quanta voce aveva: “So’ Veroli, so’ Veroli, non ho fatto niente. So’ venuto al paese a compra’ qualche cosa. Me conosce tutti. So’ Veroli, so’ Veroli”. Non dimenticherò mai quel vecchio Veroli che si raccomandava a mani giunte, e non voleva mettersi al muro≫ (Fondo Filottrano, da inventariare).

Dopo qualche minuto Lardinelli venne convocato dal comando tedesco in Municipio, dove erano già riuniti un colonnello tedesco, un soldato che fungeva da interprete, il commissario prefettizio di Filottrano e in un secondo momento sopraggiunse anche un generale che, più del colonnello, manifestava l’intenzione di mettere a ferro e a fuoco il paese. Lardinelli ricorda: ≪Quella cordialità che mi sembrava di aver visto all’inizio era sparita. I tedeschi erano diventati terribili e il generale addirittura feroce. Ci investiva con fiumane di parole, urlate, così da farci sembrare di essere travolti da una valanga. Tutto era contro di noi perché noi, quali autorità del paese, diceva quello, non avevamo fatto niente per impedire il massacro consumato a tradimento≫ (Fondo Filottrano, da inventariare).

Lardinelli tentò di spiegare che il paese si era sempre dimostrato pacifico, ma il generale tedesco, urlando che la popolazione aveva sparato a tradimento, intimò il silenzio per poi ordinare ai presenti filottranesi di scrivere su un foglio i nomi dei ribelli, degli anglofili, degli antitedeschi e degli antifascisti di Filottrano oppure i venti uomini già pronti sul muro sarebbero stati fucilati. In quei momenti il segretario del fascio e gli altri filottranesi presenti nell’ufficio dovettero essere travolti da un turbinio di pensieri e sensazioni: ≪…i venti al muro […] che sarebbero stati fucilati se noi non davamo i nomi; che nomi da fare ne conoscevamo anche più di quegli “undici”, ma come poi si sarebbe potuto continuare a vivere quando si fosse data la morte a qualcuno con la propria mano?; che una azione come quella era totalmente al di fuori della nostra indole e della nostra coscienza e neanche per un attimo abbiamo pensato di usare quella maledetta matita; ma eravamo pur coscienti che non usando la matita e non facendo morire gente conosciuta, si lasciava morire quei “venti” sconosciuti≫ (Fondo Filottrano, da inventariare).

Alla fine, provvidenzialmente, non ci fu nessuna rappresaglia. I rastrellati vennero rilasciati uno ad uno. I soldati vennero rifocillati dalla popolazione e se ne andarono con le loro autoblindo. Ma alle due estremità del paese dove le strade conducono nell’abitato, i tedeschi affissero il cartello: Achtung Banditen! E la sera stessa la città di Filottrano fu rimarcata nella carta geografica della Feldgendarmerie tedesca. Venne poi raccomandato agli autisti di transitare in fretta per quella zona e agli occupanti dei veicoli di guardare attentamente verso le finestre, osservando i movimenti delle persone e tenendosi pronti a intervenire con bombe a mano nel caso ce ne fosse bisogno (Santarelli 1991 p.37-38).

L’ECCIDIO DELLA VAL MUSONE

Quello che è comunemente noto come l’eccidio della Val Musone si consumò tra il 29 e il 30 giugno 1944 nelle località di Montalvello di Apiro, Staffolo, Cingoli e Filottrano. Secondo la ricostruzione emersa dal cosiddetto “armadio della vergogna” e dalle testimonianze del parroco don Eugenio Santoni e del commissario prefettizio Aurelio Buschi, entrambi presenti al fatto, gli automezzi tedeschi giunsero a Filottrano all’alba del 30 giugno: ≪venti militari della SS germanica, comandati da un tenente… divisisi in gruppi di tre uomini ciascuno, senza alcun motivo, prelevarono dalle proprie case 10 cittadini, i quali condotti nel foro Boario senza alcuna dichiarazione d’accusa o giudizio leale, vennero fucilati≫ (Giacomini, 2008 p.306). Le vittime erano Armando Falappa muratore, Anelio Bontempi muratore, Armando Armillei pittore, Domenico Mantini sarto, Ovidio Giuliodori facchino, Luigi Fusco terrazziere, Giuseppe Bottegoni muratore, Giocondo Mengarelli straccivendolo, Pietro Tavoloni fruttivendolo, Eraldo Giuliodori fattorino postale.

Sul luogo dell’eccidio venne affisso alla porta di una casa un bando dattiloscritto che affermava: ≪in una delle notti di giugno […] un autocarro tedesco era stato fatto segno a colpi di arma da fuoco≫ (Rosini-Tesei, 2011 p.93 e segg). Le parole rimandano inevitabilmente al manifesto affisso a Staffolo dove il giorno precedente si verificò un’altra esecuzione. Un testimone dell’eccidio, Nicola Pavoni, ricorda che il bando non era altro che una copia già predisposta di un dattiloscritto più volte duplicato che aveva per testo uno schema fisso con degli spazi vuoti da riempire.

Intorno agli eventi sono nate nel corso degli anni ricostruzioni che hanno ragionato molto, come quella di Santarelli in La battaglia di Filottrano, sull’ipotesi che si sia trattato veramente di rappresaglia. Quest’idea è stata oggi messa da parte sulla base innanzitutto del mancato riscontro in fatti o circostanze reali di quanto scritto nei bandi come giustificazione alle esecuzioni. In nessun tipo di fonte si fa riferimento a un ipotetico assalto ad automezzi tedeschi avvenuto la sera precedente al 29 o al 30 giugno. A questa lacuna, le ricerche storiografiche degli ultimi decenni hanno aggiunto la concezione nazista della guerra terroristica.

La maggior parte degli studiosi sono oggi concordi nel ritenere tutti questi fatti non degli eventi isolati, o strettamente connessi ad altre azioni locali, bensì rientranti in un’unica strategia: quella del terrore. Data soprattutto la vicinanza della linea del fronte e la necessità di avere la massima libertà di movimento, specie alla vigilia della battaglia per il possesso della città di Ancona, appare molto realistico affermare che l’obbiettivo tedesco fosse quello di terrorizzare la popolazione e interrompere il rapporto di solidarietà tra essa e i gruppi partigiani.

LA BATTAGLIA PER LA LIBERAZIONE

Dal primo luglio i nazifascisti impegnarono la città di Filottrano in quella che è passata alla storia come la più cruenta battaglia sostenuta dal Comitato Italiano di Liberazione dopo Cassino. La giovane divisione paracadutisti Nembo vi perse numerosi soldati. Ma dopo nove giornate, il 9 di luglio, i tedeschi dovettero ritirarsi oltre il fiume Musone e Filottrano fu finalmente libera.

Dal mese di maggio la 278° divisione di fanteria germanica, guidata dal generale Harry Hoppe, si ritirò lentamente verso nord combattendo sulla direttrice costiera contro il II Corpo polacco, comandato dal generale Wladyslaw Anders e più all’interno contro il Corpo Italiano di Liberazione, al comando del generale Umberto Utili. La 278° era un’unità agguerrita seppur incompleta negli organici, in quanto mancava in mezzi corazzati e quasi del tutto nella copertura aerea. Ritirandosi verso nord aveva lasciato alle proprie spalle immense distruzioni: molti ponti, linee ferroviarie e strade furono minati e fatti saltare.
Dal’8 giugno a fianco della 278° venne posta la 71° divisione, reduce dei combattimenti sostenuti a Cassino da dove era uscita stremata tanto da essere trasferita nelle retrovie per riordinare i reparti.

Dall’altra parte, il II Corpo polacco e il Cil erano alle dirette dipendenze dell’8° armata britannica, al comando del generale Oliver Leese. Il II Corpo polacco era un’unità perfettamente organizzata ed equipaggiata dagli anglo-americani. Era composta da due divisioni di fanteria, una brigata corazzata con almeno duecento carri armati, due reggimenti di ulani motorizzati e corazzati, cinque reggimenti di artiglieria di ogni calibro, unità minori di genieri, collegamenti, servizi e difesa contraerea. In complesso contava un organico di quattromila ufficiali e cinquantamila soldati. Invece il CIL si componeva di due divisioni incomplete di fanteria, due reggimenti di artiglieria, di reparti minori di collegamenti e servizi, per un totale di circa mille ufficiali e sedicimilasettecento soldati. Questa unità certo difettava in mezzi corazzati, equipaggiamento e autocarri (Santarelli, 1991 p.39-41).

Uno dei capisaldi fondamentali della sistemazione germanica a difesa di Ancona era costituito dalla città di Filottrano e dal suo vasto territorio. Il generale Hoppe era perfettamente consapevole della necessità di ritardare il più possibile l’avanzata nemica e Filottrano, centro di vitale importanza sulla via per Jesi, circa 13 chilometri a nord, si trasformò in un vero e proprio teatro di lotta.

Una volta schierate le truppe al di là e al di qua del torrente Fiumicello, su cui si affacciavano le contrade di S. Biagio e Centofinestre, iniziò lo scontro. Era il primo luglio 1944. Dopo aver preparato l’artiglieria, i carri armati polacchi, seguiti dalla fanteria, cercarono di sfondare verso località San Biagio. In un primo momento i tedeschi resistettero ma verso sera i polacchi riuscirono a farli arretrare. La conquista permetteva di penetrare nella difesa tedesca, sfaldandola. Il giorno successivo i tedeschi contrattaccarono i polacchi ma i carri armati e le mitragliatrici li arrestarono procurandogli grandi perdite. Sopraggiunse lo stesso generale Hoppe, alla guida del battaglione di riserva in deciso contrattacco. Alla fine della giornata l’avanzata polacca fu arrestata e la falla apertasi tra le località di Montoro e Villa Centofinestre (o Villa Carradori, dal nome dei vecchi proprietari) fu temporaneamente tamponata.


Il 3 luglio le truppe polacche attaccarono con decisione conquistando Centofinestre e facendo ritirare i tedeschi sulla linea di difesa Filottrano – Tornazzano – Villanova – Curanuova -San Margherita -Montoro. Quel giorno l’aviazione anglo-americana bombardò pesantemente Filottrano. Il 4 i tedeschi contrattaccarono più all’interno, dove si trovava la Nembo, e alla fine gli italiani furono respinti al di là del Fiumicello. Il 5 luglio i polacchi conquistarono Montoro e attraversarono il Musone mentre i tedeschi erano costretti ad arretrare, subendo attacchi dal fronte della Nembo a cui sarà lasciato il compito di prendere, attraverso una manovra a tenaglia, la posizione di Filottrano. I polacchi gli concederanno appoggio di artiglieria e di carri armati.

L’8 luglio fu la giornata decisiva: dopo un’ora di fuoco preparatorio da parte dell’artiglieria, i battaglioni della Nembo partirono all’attacco. In tre ore giunsero all’estremità orientale di Filottrano e intrapreso un combattimento casa per casa. Nel primo pomeriggio i tedeschi contrattaccarono con l’appoggio di mezzi blindati e carri semoventi riuscendo a respingere temporaneamente l’attacco ,ma verso le 19 due compagnie italiane e 5 carri blindati polacchi entrarono in città, per poi ritirarsi di sera. Nella notte i tedeschi si ritirarono. Filottrano era finalmente libera.

Nello scontro si registrò un elevato numero di vittime: circa 200 morti, 190 feriti e 40 dispersi tra i tedeschi; 80 morti, 120 feriti e 60 dispersi fra i polacchi; 50 morti, 230 dispersi e 60 feriti nel CIL; e 67 morti e 80 feriti fra i civili di Filottrano (Fondo Filottrano, da inventariare).

In memoria dei fatti, l’8 luglio 2006, è stata inaugurata a Filottrano la “Mostra permanente di cimeli della Seconda Guerra Mondiale e Memorial della battaglia di Filottrano“.

Bibliografia
Comune di Filottrano, Celebrazione del X° anniversario della Battaglia di Filottrano, 9 luglio 1944-9 luglio 1954, Filottrano 1954.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.
P. Migliosi, La battaglia di Filottrano, in Parole… parole… parole, Tip. Sita, Ancona 1969.
P. Rosini, G. Tesei, L’altra guerra. Le memorie di Krüger Berti. L’eccidio della Val Musone, Affinità elettive, Ancona 2011.
G. Santarelli, La battaglia di Filottrano (30 giugno-9 luglio 1944), Errebi, Falconara stampa 1991.
Stato Maggiore dell’Esercito – Ufficio storico, Il Corpo Italiano di Liberazione (aprile-settembre 1944). Narrazione, documenti, a cura di S. E. Crapanzano, Roma 1950.

Archivio STORIA MARCHE 900
Fondo Filottrano, da inventariare