Staffolo

Il Comune di Staffolo si trova in una posizione piuttosto marginale rispetto alle più importanti vie di comunicazione.
Con la guerra, questa marginalità ha reso il paese un rifugio apparentemente sicuro per molti sfollati provenienti non solo da altre zone delle Marche ma addirittura da altre regioni.
Sebbene la situazione dei piccoli paesi si discostasse da quella delle grandi città, il razionamento dei prodotti e la distribuzione attraverso le tessere annonarie fece crescere anche a Staffolo un quadro di stenti e di rabbia che portò gruppi di cittadini e sfollati, ad organizzare gli assalti agli ammassi. Il primo risale al 28 novembre 1943, ad esso ne seguirono altri due il 4 e l’11 febbraio 1944, quest’ultimi affrontati con molta fermezza dai comandi GNR di Jesi.

La notte del 23 marzo un gruppo di partigiani guidati da Goffredo Baldelli entrarono nel paese con l’intenzione di catturare il maresciallo dei carabinieri Settimio Tunno e il commissario prefettizio Aldo Balducci, trasferiti a Staffolo per la loro acclarata fermezza nel comando in seguito al furto all’ammasso. Il commissario Balducci non si fece trovare in casa, mentre il maresciallo Tunno venne catturato dopo una tenace resistenza proprio all’interno della caserma. Verrà poi ucciso a Frontale in circostanze poco chiare (Giacomini, 2008, p.217).

In seguito all’assalto alla caserma, a Staffolo si produsse un vuoto istituzionale che venne colmato con la nomina a commissario prefettizio di Krüger Berti, sfollato insieme alla famiglia da Jesi. Superando le molte perplessità e premiando l’insistenza dei cittadini, Berti accettò il mandato il 14 aprile 1944, mantenendolo fino al giorno successivo alla Liberazione della città (21 luglio 1944).

Alcuni giorni dopo, nel primo pomeriggio del 24 aprile, tre giovani staffolani che percorrevano una via che saliva al paese furono oggetto di ripetuti mitragliamenti da parte di tre o quattro aerei inglesi. Vennero ritrovati dai familiari e dai concittadini gravemente feriti. Solo uno riuscì a cavarsela. Berti ricorda l’episodio in questo modo: ≪Ha provocato vivo panico fra la popolazione e giusto sdegno per l’inqualificabile e barbara azione compiuta senza alcuna spiegabile ragione dal punto di vista bellico≫ (Rosini, Tesei, 2001, p.54).

Il 25 aprile incominciò un ampio rastrellamento da parte dei tedeschi in numerose località della regione (Cingoli, monte San Vicino, Valdiola). A Staffolo l’operazione non ebbe alcuna conseguenza in quanto i ricercati, gli sbandati e i giovani delle classi 1924-1925 si erano nascosti nelle campagne. Tuttavia da quel giorno fino al 9 maggio il paese venne utilizzato dai nazifascisti come base logistica per le future azioni nella zona. Durante la loro permanenza si verificarono fatti tragici come l’uccisione, il 1° maggio, di un loro camerata sospettato di tradimento (Giacomini, 2008, p.171).

Il 24 giugno un gruppo di partigiani con a capo il comandante Alvaro Litargini assalì, all’entrata del paese, un camion tedesco dei rifornimenti, provocando la morte di uno dei due militari a bordo. L’altro militare riuscì a salvarsi raggiungendo il comando di Jesi. L’assalto fu oggetto di molteplici critiche da parte della popolazione, terrorizzata dall’ipotesi di una rappresaglia. La sera successiva un reparto di militari si fermò all’ingresso del paese e aprì il fuoco contro le persone presenti nella via. Ne nacque un fuggi fuggi generale e, uno degli uomini rimasto gravemente ferito, morì nel corso della notte. Quanto accaduto poteva far pensare che la comunità di Staffolo avesse chiuso i conti e potesse considerarsi salva da ulteriori azioni violente da parte dei tedeschi. In realtà nel pomeriggio del 29 giugno la comunità visse un nuovo angosciante momento di terrore, passato alla memoria come l’eccidio della Val Musone.

Bibliografia
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.
P. Rosini, G. Tesei, L’altra guerra. Le memorie di Krüger Berti. L’eccidio della Val Musone, Affinità elettive, Ancona 2011.