Osimo

Dopo l’8 settembre, a Osimo si costituirono i primi nuclei di patrioti. Si organizzarono sotto la guida di Quinto Luna nel Gap “Fabrizi”, che divenne con il tempo il centro di tutta l’organizzazione partigiana della zona. Il 18 settembre1943 i tedeschi presero possesso della città e delle caserme. I partigiani iniziarono a muoversi per procurarsi armi e vestiario per i compagni che erano in montagna. Difatti tra le prime azioni ci fu il disarmo della caserma di Osimo e la sottrazione delle armi e delle munizioni.

In febbraio venne ucciso dai partigiani un fascista osimano, episodio che scatenò una corposa attività repressiva in città. Nelle carte di polizia si riporta il fatto: «La notte del 10 febbraio scorso veniva ucciso in una imboscata in Osimo, l’aiutante della Guardia Nazionale Repubblicana Giorgetti Giovanni e gravemente ferito il milite Joselli Augusto. È stato arrestato un probabile correo, mentre proseguono attive le indagini per assicurare alla giustizia tutti i responsabili» (Giacomini, 2008 p. 213).

In seguito all’episodio le forze fasciste prepararono un piano per smantellare l’organizzazione gappista, al momento in pieno sviluppo. Il comandante della Legione Gnr Oreste Gardini riferisce: «Risultandomi che nella zona Loreto-Osimo si stava verificando un accentuato movimento di ribelli, ordinai al V.Brig. Cruciani Patrizio di recarsi in luogo, camuffandosi da ribelle» (Giacomini, 2008 p. 166). L’agente si presentò sulla piazza di Osimo come tenente del regio esercito renitente alla leva, sfollato con la moglie e un bimbo nato da poco, in cerca di aiuto e mezzi di sostentamento. Uno sfollato di Otranto, Vincenzo Pellegrino, rimase commosso dal suo finto racconto e si convinse a presentarlo come “uno dei nostri” a Rodolfo Polacco, muratore comunista esponente del Gap osimano. Proprio il giorno successivo Pellegrino fu fermato e portato al comando del presidio della Gnr, dove trovò ad aspettarlo lo stesso Cruciani, che lo incalzò con una serie di domande che sottoscrivessero quanto accaduto e da lui rivelatogli. Poi fu la volta di Polacco che, riempito di botte, non solo confermò quanto Cruciani aveva già sentito personalmente ma fece altre ammissioni, come da verbale: “io quale socio della società dei ribelli… dichiaro che i capi di questa società sono attualmente il Sig. Carini Alfredo ed il Sig. Luna Quinto soprannominato “Simone” i quali si interessano al vettovagliamento di questi ribelli che si trovano a Cingoli” (Giacomini, 2008 p. 167). E fece anche i nomi dei cinque che secondo lui avevano partecipato all’esecuzione del comandante della Gnr Giorgetti, tra cui il maggiore dei fratelli Brandoni e Cesare Volponi. Così si provvide immediatamente alla cattura e all’interrogatorio delle persone coinvolte. Cosa accadesse nel corso degli interrogatori è raccontato e testimoniato da più voci, tra cui Walfrido Carini, arrestato “per attività gappista”. L’uomo fu portato nella sede del fascio di Osimo e “bastonato a sangue con la bandoliera ed il nerbo”. Lo stesso accadde a Francesco Vivani, vice del comandante Luna, che dopo giorni e giorni di pestaggi e il timore di essere incolpato dell’uccisione di Giorgietti, finì per confessare. Tutti gli arrestati, dopo il brutale trattamento ricevuto a Osimo, furono portati nelle carceri di Jesi, a disposizione del comando provinciale della Gnr, da cui alcuni furono in seguito rilasciati e altri trasferiti al carcere di Pesaro.

Dopo questo episodio e in seguito a vicende interne alla resistenza, come l’arresto di Tommasi e la riorganizzazione provinciale, il Gap “Fabrizi” si sciolse. Alcuni dei suoi uomini andarono in montagna, tra cui Quinto Luna che, dopo la tragedia del 4 maggio sul Monte Sant’Angelo, vicino Arcevia, fu inviato a dirigere il distaccamento “Maggini”. Tuttavia nelle settimane successive la lotta nell’osimano si riorganizzò: venne creato il gruppo Stacchiotti (intitolato a uno dei caduti osimani a Valdiola) al comando di Paolo Orlandini e successivamente il gruppo Santo Stefano, di cui si ricorda in particolare la gappista Antonietta Giannini, protagonista di numerose azioni (Bandiera Rossa, n. 15). Nella zona operavano anche altri distaccamenti, due a Loreto, uno a Sirolo e Numana, uno al Poggio e Massignano, uno a Camerano, uno a Castelfidardo e uno a Filottrano. Tutti appartenevano al comando di zona Gap “Sud Musone”, di cui era responsabile lo stesso Orlandini.

In prossimità della liberazione i Gap fecero numerose azioni di sabotaggio e di disturbo nei confronti dei tedeschi e dei fascisti. Alla fine di giugno i primi tedeschi lasciarono la città, ma i rimasti portarono a termine l’opera di devastazione delle attività produttive che non dovevano passare in mano agli alleati. Vennero pertanto danneggiati il pastificio Fagioli, le filande, lo stabilimento di bachelite e il consorzio, oltre ad essere minate numerose strade e ponti. In un diario dell’osimano si racconta: «I tedeschi si sono fatti padroni delle nostre cose e della nostra stessa vita. Troppo lungo sarebbe raccontare gli episodi di tante ciniche rapinerie: con il loro “servire a me” o per la via o in casa hanno preso quello che hanno voluto: lasciano proprio il ricordo di distruggitori, di barbari, di rapinatori e anche di attentatori all’onore femminile, che a Sambucheto ha immolato due vittime a difesa. Qui in Osimo, almeno, non ci sono casi palesi» (Fazi – Pieroni, 2002 p. 25).

Tra giugno e luglio il fronte era fermo lungo la linea “Edith” che si estendeva lungo il fiume Musone fino ad arrivare a Cingoli. L’incarico di sfondare la linea e conquistare Ancona venne assegnato al II Corpo d’armata polacco. Iniziarono così il 1° luglio e durarono fino all’8 dello stesso mese le battaglie che condussero alla conquista del capoluogo e che si svolsero nella zona di Loreto, Castelfidardo, Filottrano e Osimo.

La mattina del 7 luglio Osimo, che dopo lo sfollamento degli uffici da Ancona era divenuta la capitale di fatto delle Marche, potè considerarsi libera. Le truppe polacche vi transitavano ormai in condizioni di sicurezza. Fin dal 3 luglio il distaccamento “Riccio” si era portato in città per muoversi al momento opportuno. L’attività armata iniziò nel tardo pomeriggio del 6 luglio e i partigiani dovettero affrontare anche il fuoco degli alleati che male interpretarono un segnale loro diretto.

RESISTENZA CIVILE

L’opposizione che le classi popolari italiane nutrirono nei confronti del fascismo, della guerra e dell’occupazione nazista si espresse non solo nella lotta armata e nell’attività partigiana, ma attraverso una molteplicità di azioni, attraverso “diverse resistenze”. In Senz’armi di fronte a Hitler, Jacques Sémelin ha definito la resistenza civile come il processo spontaneo di lotta di una società disarmata contro l’aggressore, una lotta che al posto delle armi utilizza strumenti immateriali come il coraggio, l’astuzia, la manipolazione, fino ad arrivare alla simulazione e alla dissimulazione. La resistenza civile o non armata può nascere nelle istituzioni come i sindacati, i partiti politici o le associazioni, ma soprattutto tra le masse, tra la gente comune. Sua espressione sono scioperi, manifestazioni o altri espedienti di disobbedienza civile.

La nostra regione ha conosciuto innumerevoli episodi di resistenza, diversi tra loro anche rispetto ai contesti sociali ed economici. Ad esempio nel dicembre ’43 ad Osimo ci fu uno sciopero che coinvolse circa trecento operaie di tre opifici “per reclamare un aumento della razione dei grassi e per protestare contro la poca sicurezza sul lavoro in relazione al pericolo dei bombardamenti aerei” (Giacomini, 2008 p. 195). Negli edifici dove si lavorava non c’erano rifugi e vista la vicinanza di Ancona, si temevano in modo maggiore la “guerra dei cieli”. Lo sciopero economico per i grassi si legava perciò strettamente alla protesta contro la continuazione del conflitto. Per bloccare le ribellioni, i nazifascisti ricorsero all’intimidazione: arrestarono il primo giorno sei operaie tra le più attive e altrettante nei giorni seguenti. Ma le compagne, irrimovibili, continuarono lo sciopero. Alla fine le autorità furono costrette a rilasciare le arrestate e concedere un aumento delle porzioni di grassi.

Di natura differente ma pur sempre scelta di disobbedienza fu quella di una famiglia di contadini dell’osimano. L’artigliere Tommy Nutter, trattenuto nel campo d’internamento di Monte Urano con molti altri soldati inglesi, ricorda che un giorno di settembre si presentarono le truppe motorizzate tedesche e li presero in consegna. Li caricarono su carri bestiame diretti per la Germania. Lui riuscì a scappare durante il tragitto e trovò ospitalità nelle campagne di San Paterniano di Osimo, insieme ad altri soldati sempre scappati, che poi si unirono ai partigiani del San Vicino (Giacomini, 2008 p. 180).

Bibliografia
M. Fazi – I. Pieroni, 17 luglio “E’ il giorno bramato dell’offensiva e della completa liberazione”. Giungo-Agosto 1944: diari sul passaggio del fronte a Osimo e Offagna, Accademia della Crescia, Offagna 2002.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.
M. Morroni, Osimo libera (settembre 1943 – luglio 1944), Anpi Osimo, Stampa Tipografia Luce, Osimo 2004.
P. Orlandini, Da Balilla a partigiano. Ricordare per far ricordare, A. C. Remel, Ancona 1998.
J. Sémelin, Senz’armi di fronte a Hitler. La resistenza civile in Europa 1939-1943, Sonda, Torino 1993.
Una brava gappista, in “Bandiera Rossa”, a. II, n. 15, 21 settembre 1944.