Macerata Feltria

La presenza nelle alti valli del Foglia, del Metauro, del Conca e del Marecchia di un movimento partigiano forte, agguerrito e legato alle popolazioni, costituì per i tedeschi e per i fascisti un ostacolo grave che essi tentarono inutilmente di superare con il ricorso a massicci rastrellamenti, a rappresaglie e intimidazioni.

A Macerata Feltria avevano sede: la Direzione generale della Linea Gotica per il settore Montecchio-Sestino, sotto la responsabilità dell’ingegner tedesco Sander e dell’impresa Tirotti di Cattolica; il Comando territoriale della G.N.R. sotto il comando del Ten. Franzitta; un Distaccamento del Btg. Nero “Camilluccia” e un Comando zonale della Wermacht. Qui il Distaccamento partigiano “Montefeltro”, comandato da Mario Rossi detto “Sirio”, Giuseppe Alessandri detto “Doppio”, Alfeo Narduzzi – il commissario “Carlo”, Nicola Piselli e Gilberto Roberti, si fece sentire fin dai primi giorni.

Come ricorda Narduzzi, la strategia seguita inizialmente dal gruppo era puntare su azioni che demoralizzassero il nemico. Per questo, iniziarono a diffondere, di notte, scritte con minacce di ritorsione di morte contro i fascisti ed i loro collaboratori, al servizio dell’invasore. Nel novembre-dicembre 1943, i primi nuclei operai reclutati dalla T.O.D.T., recandosi al lavoro trovarono volantini con incitamento al sabotaggio e alla diserzione; tedeschi e fascisti si resero subito conto di non potersi avvalere dei civili reclutati. Per questo fu distaccato nella zona il 1° Battaglione Genio Costruttori della G.N.R.: una formazione composta da giovani reclutati forzosamente, con il compito di realizzare fortificazioni e strade ad interesse militare; giovani che percepirono subito di essere stati mandati in una zona dove la gente era solidale con i partigiani. Tanto che quando le sue pattuglie venivano mandate in perlustrazione, spesso tornavano in caserma disarmate e scalze: di armi e scarpe, i partigiani ne avevano estremo bisogno (Severi, 1997).

Gli incontri del Distaccamento avvenivano all’inizio in luoghi non abitati o all’aperto, rispettando la puntualitàdei convenuti: «Voglio raccontare la prima riunione, in una stalla del colono Nazzareno Cupi, soprannominato Ministro, persona dotata di eccezionale furbizia e con un comportamento indecifrabile. L’energia elettrica allora non esisteva, perciò la stalla era illuminata dalla fioca luce di una acetilene. L’ambiente era dotato di tre possibili vie di fuga in caso di pericolo. Il Ministro era un noto cacciatore, possedava tre cani, due dei quali abbastanza ringhiosi che di notte teneva sciolti a guardia della casa e degli animali. Il terzo era tenuto legato al canile sull’aia. Rammento che, finita la riunione, non avremmo potuto uscire se il Ministro non li avesse legati, erano veramente sentinelle fidate. Gli incontri avvenivano sempre di notte nella zona di S. Teodoro, ma non in case raggruppate, bensì in casolari isolati perchè era più facile attuare le misure di sicurezza» (Memoria viva, n°8, 2004 p.27).

Dall’armistizio al mese di febbraio, i partigiani svolsero soprattutto attività nell’organizzazione dei giovani più decisi, in modo da creare di fronte al nascente fascio repubblicano un nucleo di forze contrarie. Si raccolsero armi e si aiutò i renitenti alla leva. Si affissero ripetutamente sui muri manifesti di incitamento ai giovani e sulle porte dei fascisti manifesti di minaccia. Dal febbraio alla Liberazione, con la nascita a tutti gli effetti del Distaccamento “Montefeltro”, si raccolsero le forze antifasciste di Macerata, delle campagne e dei paesi vicini. Quando il Distaccamento dovette trasferirsi in Toscana accolse nelle sue fila elementi del Comune di Sestino. Il Distaccamento si allacciò alla V Brigata Garibaldi Pesaro nel marzo 1944 quando il suo comandante Ottavio Ricci, detto Nicola, si incontrò nei pressi di Macerata, in località Casino, con il S. Ten. Pilota ing. Giuseppe Alessandri che assunse l’incarico di Addetto Militare. Comandante fu nominato lo studente universitario Mario Rossi e commissario politico Alfeo Narduzzi.

Da quel momento erano entrati a far parte ufficialmente delle V Brigata Garibaldi: «In quella occasione per noi storica ci sentimmo tutti veramente orgogliosi, sia pure coscienti di tanta responsabilità» (Memoria viva, n°8, 2004 p.28). In quell’incontro il comandante Nicola nominò il tenente Oscar Ubaldi di Piandimeleto, reduce dal fronte russo, ufficiale di collegamento fra il comando di Brigata e il loro distaccamento. Inoltre, ricordandogli l’importanza di ponderare sempre responsabilmente la conseguenza di ogni azione, sotto ogni aspetto, affidò agli uomini del “Montefeltro” un compito preciso: sabotare le fortificazioni della Linea Gotica che erano in costruzione lungo la vallata del Foglia, con inizio a Montecchio di Pesaro fino a Sestino.

«A seguito di questo incontro – ricorda Narduzzi – avevamo idee più chiare a riguardo dei compiti che il comandante della brigata ci aveva affidato ma senza esperienza lo sentivamo più grande di noi. Ci rendevamo consapevoli che per realizzarli era necessario aumentare il numero dei partigiani e allargare il raggio di reclutamento verso le zone di montagna» (Memoria viva, n°8, 2004 p.28).

Nei giorni seguenti incontrarono Virgilio Vaselli, abitante nei pressi di Carpegna, anche lui alla macchia dopo l’8 settembre. E con sorpresa costatarono che era già a capo di un piccolo gruppo di “ribelli”. Allora gli fu proposto di diventare vicecomandante del loro distaccamento con tutte le responsabilità connesse, pur mantenendo l’autonomia della zona. Vaselli godeva di numerose conoscenze nei dintorni di Sestino e, a sua volta, organizzò un incontro con un suo amico, Bruno Ercolani, intento nel reclutare giovani.

Contemporaneamente nella zona si era formato un piccolo gruppo di slavi al comando di un certo Levicar Stanco, molto esperto nella guerriglia già praticata con il maresciallo Tito. L’uomo si rese responsabile del suo gruppo aggregandosi a Ercolani, già nominato vice commissario del Distaccamento “Montefeltro”. A questo punto appariva possibile l’organizzazione di un piano di sabotaggio ad ampio raggio.

Dopo il suo allacciamento alla Garibaldi, il Distaccamento cercò di uniformarsi alla linea seguita dalla stessa, ma mantenne sempre una certa autonomia dovuta non solo alla forte distanza da tutte le altre formazioni, ma soprattutto al carattere e alla funzione che gli derivava dalla zona in cui era posto. Sorto in quella parte del Montefeltro che comprende i comuni di Carpegna e Macerata, dove si era venuto impiantando il centro direttivo dei lavori di fortificazione della Linea Gotica, assunse il compito di vigilare, ostacolare ed impedire con la sua presenza e con le sue azioni la costruzione degli apprestamenti difensivi di questo sistema.

Si trattava di un vero e proprio stillicidio di azioni patriottiche: decine di attacchi diretti, sabotaggi, diserzioni dalla T.O.D.T. e dalle formazioni militari G.N.R. Alla fine di maggio e ai primi di giugno, varie pattuglie si avvicinarono ripetutamente di notte all’abitato di Macerata aprendo il fuoco contro posti di blocco sistemati negli accessi al paese. Ne nascevano violente sparatorie che si protraevano fino al mattina. Fu un’azione corale che, promossa dalle formazioni partigiane, coinvolse tutte le popolazioni, nel comune intento di non permettere ai tedeschi di “farsi la casa” (Severi, 1997).

Lungo le strade della zona si alternarono i raid della V Brigata Garibaldi, della G.A.P. di Schieti, del Distaccamento “Montefeltro”, dell’VIII Garibaldi romagnola. Furono messi a segno attacchi e sabotaggi nei monti attorno a Macerata, Pietrarubbia, Frontino, Sestino, Viano, Lunano, Montecopiolo, Sassocorvaro, Tavoleto, Casteldelci, S. Agata Feltria. Il contesto delle alte valli pesaresi offriva il quadro di un movimento partigiano attivo, destabilizzante, che non diede tregua, che mise tedeschi, fascisti e T.O.D.T. in uno stato di incertezza continua, che impose ritardi decisivi nel programma delle fortificazioni e che impegnò contingenti progressivamente maggiori per la vigilanza.

LA STORIA DI FRIDA KURTH

Nella primavera del 1944 i nazifascisti erano impegnati nelle opere di fortificazione della Linea Gotica, dalla foce del Foglia fino alla foce del fiume Magra, in Liguria. Questa attività implicava l’eliminazione di una spina particolarmente insidiosa rappresentata dal movimento partigiano. In particolar modo, nell’alto Foglia e nell’alto Conca, dovevano fare i conti con il Distaccamento “Montefeltro” della V Brigata “Garibaldi” Pesaro.

Frida Kurth, nata in Germania nel 1905 ma sposata con un italiano, fu assunta dai tedeschi come loro interprete sulla Linea Gotica, presso la sede territoriale della T.O.D.T., a Macerata Feltria. La donna s’impegno nel corso dei mesi in un’attività umanitaria molto rischiosa a favore dei lavoratori reclutati dai tedeschi per le fortificazioni sulla Linea, contrastando la prepotenza dei militari del Battaglione Tagliamento. In particolare, ai primi di luglio salvò dalla fucilazione due partigiani di Macerata, catturati dai fascisti: Lino Sperindio e Quinto Guerra. Un giovane lavoratore della T.O.D.T. la ricorda in questo modo: «In uno degli [uffici] trovai la signora Frida, da sola seduta dietro una scrivania. Ero andato per salutarla e ringraziarla. La trovai un po’ pensierosa ma non triste, traspariva in lei un’aria preoccupata, mista all’orgoglio di aver fatto una cosa importante e pericolosa, ma giusta. Prima di salutarmi, mi disse: “Oggi ho salvato due partigiani dalla fucilazione da parte delle brigate nere. Le mamme sono venute da me disperate. Sapevano che i loro figli stavano subendo le torture per costringerli a rivelare i nomi dei compagni di lotta. Sapevano che li minacciavano di morte. Io mi sono rivolta al comando militare tedesco perchè intervenisse per la loro liberazione. I tedeschi si sono rifiutati categoricamente perchè non volevano assolutamente interferire nelle questioni tra italiani. Io non sapevo cosa fare. Poi, fortemente determinata, ho preso una decisione da sola. Sono andata al comando dei brigatisti e ho detto: – Ho l’ordine del comando militare tedesco di liberare immediatamente i prigionieri! E fortunatamente così è stato.”» (Memoria viva, n°11, 2010, p.7). Il suo comportamento si dimostrò doppiamente coraggioso visto che rischiò la vita sia con i suoi connazionali che con il comandante fascista.

Tornando alla storia dei due partigiani catturati, probabilmente sulla base di qualche informatore, i fascisti della Tagliamento, di stanza a Macerata, avevano organizzato un rastrellamento per annientare le operazioni di guerriglia del Distaccamento “Montefeltro”. Nella frazione di San Teodoro, additata dai fascisti come fulcro della resistenza, catturarono Lino Sperindio, classe 1918. Esente dagli obblighi militari per ragioni di salute, il giovane fu comunque perquisito e quando gli venne trovato tra i vestiti un simbolo compromettente, fu accusato di essere un partigiano. Arrestarono anche Quinto Guerra, di anni 18, che abitava in una casa vicina, sempre a Vigene, appendice della frazione di S. Teodoro. Mentre il gruppo più numeroso dei fascisti era occupato con il rastrellamento e l’arresto di Sperindio, due giovanissimi militi gironzolavano nelle vicinanze dell’abitazione di Guerra, quando videro scappare dalla sua stalla un ragazzo. Immediatamente minacciarono la signora Guerra, accusandola di nascondere e aiutare i partigiani. Effettivamente il fuggitivo era il partigiano slavo Glacer Luigi, del distaccamento “Montefeltro”. Ma la donna con grande risolutezza insisteva invece che si trattasse di suo figlio che tornava a mietere. I due militi corsero a chiamare gli altri camerati vantandosi che avrebbero scoperto il covo dei ribelli. Nel frattempo la madre di Quinto inviò sua figlia da lui per metterlo al corrente del fatto, che dicesse ai fascisti che era lui il ragazzo della stalla. Ma i soldati non gli credettero e lo arrestarono. La madre di Quinto intuì subito il grande pericolo: che sarebbe stata accusata di connivenza con i partigiani e perciò gli sarebbe stata incendiata la casa e fucilato il figlio, o alla meglio deportato in Germania.

Sperindio e Guerra furono portati inizialmente nella caserma di Macerata Feltria, lì subirono violenze e torture. I vari interventi che vennero fatti in loro salvezza furono vani. Quando tutto sembrava volgere alla peggio, i giovani furono improvvisamente liberati per grazia concessa dal sanguinario console Merico Zuccari. Lo stesso Sperindio raccontò l’intervento di Frida: «Quando entrò nella mia stanza, quella tedesca insieme al comandante fascista, non ci fu alcuna discussione fra loro. Io ero a terra tutto insanguinato. Lei mi guardò e mi disse: -Sei capace di lavorare? Io, quasi con un filo di voce e con un cenno del capo, risposi di sì. Lei si rivolse al comandante fascista e gli disse: – Ho l’ordine dal comando tedesco che sia liberato immediatamente il condannato; egli andrà a lavorare alla T.O.D.T. E così come vedi, sto facendo» (Memoria viva, n°11, 2010, p.8). Rispetto alla ragione per la quale Zuccari acconsentì alla sua liberazione e a quella di Guerra, si può ipotizzare un rimando al complesso rapporto esistente tra l’esercito tedesco e le SS italiane. Forse ritenne vantaggioso evitare lo scontro, visto che a Macerata Feltria risiedeva la direzione della Linea gotica. Inoltre al momento appariva conveniente, sia per i tedeschi che per i fascisti, dare alla popolazione un segnale di tolleranza, visto che le fucilazioni di partigiani avvenute pochi giorni prima avevano impresso nella gente del Montefeltro un allarmante risentimento.

LA STORIA DI ANGELA LAZZARINI

Un altra donna è stata protagonista e vittima di un tragico episodio che rimase impresso nella memoria collettiva. Angela Lazzarini aveva nascosto verso la metà di giugno un disertore nella sua abitazione, gli aveva fornito abiti civili e nascosto le armi. In seguito alla delazione di un paesano, fu fermata e arrestata: «Il 27 giugno Angela viene portata a Sassocorvaro: Merico Zuccari vuole comunicarle di persona la condanna a morte, dopo di che viene riportata a Mercatale e qui è costretta ad assistere alla fucilazione di Angelo Marchi, 19 anni, di Cremona, ex soldato G.N.R. di stanza a Piandimeleto, scappato ed arruolatosi nella V Brigata Garibaldi dopo l’attacco partigiano del 28 aprile a quella caserma» (Severi, 1997 p.189). Prima di morire la donna ebbe modo di rivelare che la sera precedente era stata violentata dal sottotenente Giannozzi.

Bibliografia
A.N.P.I di Pesaro e urbino in collaborazione con ISCOP, Memoria viva, n°8, 2004.
Memoria viva, n°11, 2010.
Mari Giuseppe, Guerriglia sull’Appennino. La Resistenza nelle Marche, Argalia, Urbino1965.
S. Severi, Il Montefeltro tra guerra e liberazione 1940-1945, Società di Studi Storici per il Montefeltro, San Leo 1997.