San Liberato

La località San Liberato, poco distante da San Ginesio, non solo era addossata a una catena di montagne ricche di sentieri, gole e valloni che favorivano la lotta partigiana, ma si ergeva a guardia di un importante snodo stradale per il passaggio dei rifornimenti verso il fronte.

In seguito al disarmo di Acciaio e allo smembramento del gruppo “201” su decisione del Comando di Vestignano e del Comitato provinciale di Liberazione, intorno al 16 marzo 1944, una piccola parte del gruppo prese alloggio proprio nel convento di San Liberato, di cui era stato eletto Superiore, nel gennaio 1934, Padre Sigismondo Damiani. La decisione di ricomporre il gruppo a S. Liberato mostrò subito i suoi inconvenienti in quanto nel convento non c’erano condizioni logistiche e di sicurezza idonee per farne una vera base di appoggio. Non appena arrivati, i partigiani ebbero “l’amara sorpresa che sul posto non vi era possibilità di procurarsi agevolmente da mangiare in quanto tutte le risorse della zona, di per sé poverissima, erano già state utilizzate sia dal gruppo di Monastero che da quello di Piobbico” (Giacomini, 2008 p.140). Per non parlare poi dell’accoglienza ricevuta dai frati, i quali non gradivano affatto quella presenza invasiva, per cui i partigiani furono costretti ad imporsi e mostrare “un po’ di decisione” per potersi installare nella foresteria. La conferma che i frati non apprezzassero quella intrusione, che veniva a turbare la loro quiete, ma anche la loro sicurezza, potendoli compromettere agli occhi dei nazifascisti, traspare anche dalla ricostruzione che, sulla base della memoria dei confratelli, ne fa il padre francescano Giacinto Pagnani: «Tra la prima e la seconda metà di marzo 1944 un gruppo di partigiani composto in gran parte da profughi e renitenti alla leva invase la foresteria del convento e vi si sistemò pretendendo anche di servirsi della cucina dei frati» (Pagnani, 1962 p.129).

Stando sempre al suo racconto, la voce che nel convento si nascondessero dei partigiani sarebbe giunta alle orecchie dei fascisti, che subito partirono in forze da Camerino per farvi una sortita. Tuttavia, arrivati vicino al convento, spararono dei colpi contro due cacciatori che alla loro vista si diedero alla fuga: uno rimase ucciso, l’altro fu preso ma poi rilasciato. I colpi, ben uditi, avvertirono i partigiani che fecero in tempo a scappare. In realtà si allontanarono ma non con la rapidità che la situazione avrebbe richiesto. Di certo non potevano immaginare cosa stesse succedendo a Montalto e che i nazifascisti stessero giungendo anche a San Liberato per un’operazione di rastrellamento anti-partigiana. Così, allontanatisi in direzione di Monastero, si fermarono per consentire al tenente Toto di andare a vedere cosa stesse accadendo, perdendo tempo prezioso. Rimasero poi coinvolti in uno scontro con i tedeschi, che uccisero due partigiani, Peter Ivanovic e Ennio Passamonti, e ne ferirono gravemente un terzo, Luigi Angeli.

Tornando alla situazione nel convento, quando arrivarono i fascisti minacciarono di morte Damiani, anche per aver trovato nella sua camera una doppietta. Lui si scusò dicendo che gli serviva per difendersi dai lupi che infestavano il bosco. I fascisti si lasciarono convincere, cedendo alle lusinghe della cantina.
La domanda che poi tutti si posero fu chi avesse avvertito i fascisti. Pagnani fa il nome di un certo Francesco Sargolini, ex milite fascista, il quale pare facesse un pericoloso doppiogioco, tanto che il 23 marzo, l’indomani della spedizione nazifascista a S. Liberato e Monastero, si presentò al convento e parlò con lo stesso Damiani: «Il padre si confidò con lui esclamando: -Fortuna che non mi hanno trovato il revolver; quale altra scusa avrei potuto inventare?» (Pagnani, 1962 p.129 e segg).
Andato via Sargolini, appena tre ore dopo, si presentarono al convento alcuni partigiani che pretendevano di avere il revolver. Quella stessa sera, mentre era a Monastero, Sargolini venne prelevato dai partigiani di Piobbico, interrogato e l’indomani fucilato come spia. Temendo la propria fine, nel vano tentativo di aver salva la vita, aveva gridato che «non era stato lui a chiamare i fascisti ma il P. Sigismondo» (Pagnani, 1962 p.129 e segg).

Dalle voci che circolavano sul conto del Superiore, trassero alimento dubbi e sospetti. Non giovò a dissiparli neppure il fatto che egli decidesse di allontanarsi per un po’ di tempo. Infatti una volta ritornato, circa un mese dopo, in compagnia del nipote Padre Quinto Damiani, fu prelevato nel convento e ucciso poco distante da appartenenti al gruppo di Piobbico, la cui identità fu poi accertata in sede processuale: «Nel pomeriggio del 9 maggio, verso le tre, Sigismondo era intento a ripulire alcune botti in compagnia di Quinto quando fu avvertito che tre sconosciuti desideravano parlargli. Nel frattempo erano riusciti ad entrare nel convento e lo trovarono lungo il sentiero dell’orto che conduce alla porta del convento. Lì lo uccisero con qualche colpo di pistola. Quinto lo trovò boccheggiante in terra e udì le sue ultime parole. Mio Dio, Mio Dio. Sparsasi la voce della sua morte accorsero alcuni padri dal vicino convento di Colfano; la salma fu tumolata nel cimitero parrocchiale. Successivamente nel dopoguerra fu trasferita nel suo convento all’interno della chiesa» (Pagnani, 1962 p.131 e segg).

Nel dopoguerra, dopo un frettoloso processo, i sospettati del crimine furono assolti per insufficienza di prove, ma la causa fu ripresa in sede di Appello l’11 marzo 1954. Le nuove testimonianze raccolte permisero di accertare la responsabilità di due degli imputati: Lucas Popovich, uno slavo cui sembra che i fascisti avessero ucciso i parenti in patria e il sardo Luigi Cuccui, evaso dalle carceri di Ancona. Dalle testimonianze rilasciate da vari partigiani, tutti i sospetti su padre Damiani parvero infondati, piuttosto venne sottolineata la sua collaborazione, prestata in varie occasioni, alla Resistenza.

Bibliografia
AA.VV., Tolentino e la resistenza nel Maceratese, Accademia Filelfica, Tolentino 1964.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.
G. Pagnani, San Liberato e il suo convento. Con ampi cenni sui rapporti tra i Comuni di S. Ginesio e Sarnano e il movimento degli spirituali nelle Marche, edizioni Biblioteca Francescana, Falconara M.ma, 1962, (p.129-133).