Cagli

A Cagli il primo nucleo della Resistenza fu costituito da Giuseppe Pieretti, Gino Arduini e Imbriano Alessandri. Tutti e tre andarono a costituire il Cln insieme a Giuseppe Corradi e Lorenzo Paganucci (Marini 2000, p. 72).

Una delle prime azioni dei partigiani fu l’attacco ai silos del grano a Pianello di Cagli il 20 febbraio. La popolazione prese parte all’azione e il grano fu distribuito tra i partigiani e la popolazione. Dalle relazioni di polizia si evince che i silos contenevano ben 350 quintali di grano e che le autorità erano molto preoccupate per la partecipazione della popolazione allo svuotamento dei granai: «il che fa delineare uno stato d’animo e un atteggiamento di pericolosissimo favoreggiamento da parte delle popolazioni stesse, prima impaurite dalle imprese dei ribelli, ma fiduciose nell’intervento delle Forze e dell’Autorità dello Stato a loro difesa, poi depresse e sfiduciate per il mancato intervento ed ora forse disposte anche ad affiancare i più forti» (Giacomini 2008, p. 241-242).

Il comando di Brigata aveva affidato al I° battaglione il compito di assaltare la caserma dei carabinieri di Cagli. Un’impresa difficile poiché la città era un grosso centro agricolo commerciale, con circa diecimila abitanti, lungo la Flaminia. Un punto nevralgico, percorso da un notevole traffico e sede di una forte guarnigione fascista (Tumiati 1995, p. 105). Il 5 maggio, su indicazione del comando, il primo a fare irruzione nella caserma fu il distaccamento Dini, con il compito di fare particolare attenzione visto che nella caserma risiedeva anche la famiglia del maresciallo. Due uomini si avvicinarono alla caserma e deposero due cariche di esplosivo che avrebbero dovuto far saltare i cardini della porta. Tuttavia i partigiani fecero un grave errore preparando due cariche dieci volte superiori al necessario. Così la città fu scossa da un boato impressionante. Non crollò solo la porta, ma buona parte della caserma. In quel caos era quasi impossibili individuare l’armeria, in più i fascisti sopravvissuti all’interno iniziarono a sparare sui partigiani, che risposero con un fuoco altrettanto forte. Alcuni fascisti furono feriti, cadde il partigiano Imbriano Alessandri. Ma ad un certo punto tra uno sparo e l’altro si accorsero che da un cumulo di macerie provenivano dei lamenti. La famiglia del maresciallo era rimasta sotto le macerie. A quel punto il comandante Francesco Tumiati diede l’ordine di cessare il conflitto e mettersi al lavoro per salvare quella famiglia. I fascisti non si erano ancora del tutto arresi e sarebbero potuti arrivare da un momento all’altro i rinforzi, tuttavia Tumiati invitò i suoi uomini a scavare, intavolò trattative con i fascisti invitandoli a partecipare ai soccorsi. Di li a poco gli stessi abitanti di Cagli iniziarono ad aiutare i partigiani e i militi della guardia nazionale a scavare tre le macerie. Dopo aver tratto in salvo la figlia del maresciallo, che invece fu trovato morto, i partigiani non potevano rimanere ancora e decisero di dileguarsi rapidamente (Tumiati 1995, p. 106).

La notizia che la caserma di un centro così importante come Cagli, era stata assalita e distrutta in pieno giorno, si diffuse rapidamente in tutta la zona. Il comando di brigata, temendo un’immediata vendetta ordinò al primo battaglione di sganciarsi, e di ritrovarsi il 17 maggio nella zona di San Polo, sopra Cantiano (Tumiati 1995, p. 106-107). Proprio il 17, Francesco Tumiati e due compagni slavi furono arrestati e uccisi davanti al cimitero di Cantiano.

Il 7 maggio, tra Cagli ed Apecchio, un primo rastrellamento condotto da reparti tedeschi fu respinto dai partigiani del I° battaglione. Ma nei giorni seguenti i rastrellamenti nazi fascisti continuarono in tutta l’area tra il Monte Catria e il Monte Nerone, tra Cagli, Apecchio e S. Angelo in Vado. Lo scontro con i partigiani avvenne il 19 maggio nella zona dove operava il distaccamento Stalingrado, che per l’occasione era rinforzato da elementi del I° battaglione e dall’appoggio della banda Panichi. Lo scontro si protrasse per molte ore fino al ripiegamento tedesco.

LA BATTAGLIA DI PARAVENTO

Il 19 giugno una piccola squadra del distaccamento Pisacane, guidata dal commissario Claudio Cecchi ebbe uno scontro a fuoco con un automezzo tedesco nella zona di Acquaviva di Cagli. I tedeschi erano in ricognizione per trovare un posto dove far acquartierare un’unità di alpini (Alpenjäger) della V^ divisione di montagna in sosta nella zona di Cagli, dopo il trasferimento da Cassino e probabilmente destinata a potenziare la difesa sulla Linea gotica. Un tedesco fu ucciso, un altro, ferito, riuscì a fuggire e altri due furono fatti prigionieri dai partigiani. Un’unità motorizzata partita da Cagli portò uomini e armi in prossimità dell’accampamento partigiano situato a 8/900 metri su un costone del Catria che dominava la valle, in località Paravento.

Claudio Cecchi, protagonista di quei fatti così ricorda:

«L’arrivo dei tedeschi fu fulmineo. Dopo meno di un paio di ore, intorno a mezzogiorno, scorgemmo a valle lungo la strada una lunga colonna motorizzata proveniente da Cagli, costituita da numerosissimi camion e vetture militari. In breve tempo il reparto ci fu sotto, e subito iniziò lo scontro al quale nel frattempo ci eravamo frettolosamente preparati. Loro, vicini e protetti da un ciglio roccioso, noi, una quarantina, con a disposizione una mitragliatrice Breda, un mitragliatore, qualche fucile e alcuni Sten. Più dietro, utilizzato sotto stretta sorveglianza nei preparativi necessari per un eventuale o improvviso ordine di ripiegamento, avevamo un gruppo di una trentina di persone, diciannove delle quali appartenevano agli organici della Questura di Pesaro, dalla quale avevano preso prudentemente il largo. Si erano presentate in due tempi, parte il 14, parte il 15, portando seco due motofurgoni Benelli, la mitragliatrice, dei moschetti, dei caricatori e del vestiario. Asserendo lealtà, chiedevano protezione nel verosimile intento di precostituirsi qualche merito in previsione di una non lontana liberazione della città. Il combattimento, durissimo, si svolse con nostra ferma resistenza fino a quando cioè l’oscurità costrinse finalmente i tedeschi a ritirarsi (quel pomeriggio estivo ci sembrò assai più lungo di quanto già non fosse). Così si concluse vittoriosamente quella memorabile giornata che segnò il nostro primo successo. Nella previsione di una possibile ripresa dell’attacco il giorno successivo, trascorremmo la notte nel fervore dei preparativi e nella vigile attesa dell’indomani. Già alle prime luci dell’alba avvistammo una colonna tedesca simile a quella del giorno precedente. Dopo un duro fronteggiamento durato fino a metà giornata» (…) arrivò il «temuto accerchiamento» (C. Cecchi, 2009). I partigiani cercarono di arretrare per sfuggire all’accerchiamento e trovare una nuova posizione di difesa. «Occorreva, perché riuscisse, infatti effettuare un’operazione molto ordinata e composta, che non facesse trapelar nulla dei nostri movimenti e nel contempo non lasciasse tracce capaci di dar adito a un’impressione di sbandamento. Dovevamo non solo provvedere allo sgombero di quanto c’era nell’accampamento ma altresì contenere il più a lungo possibile l’avversario onde consentire lo svolgimento sicuro della nostra manovra. Questo compito, ce lo assumemmo Io come commissario politico, e due compagni che si offrirono coraggiosamente a restare con me: io alla mitragliatrice Breda di nuovo acquisto, uno dei due armato di uno Sten l’altro di un fucile. Eravamo fortunatamente provvisti di un sufficiente quantitativo di munizioni. Lo spostamento del distaccamento e del gruppo di civili, favorito dal bosco sul limitare del quale ci eravamo costruiti il nostro piccolo villaggio (costruito con tronchi d’albero, con rami frondosi e pelliccia di prato) e dalla buona conoscenza del luogo grazie alla presenza di alcuni compagni di Cantiano e di Chiaserna, riuscì perfettamente. Col successo quasi in pugno, i tedeschi non seppero sfruttarlo. Molto critica si era fatta invece la situazione di noi tre. Non so come riuscimmo a cavarcela, ma tenemmo duro per oltre mezz’ora, fino a quando, cioè, giudicammo che il nostro reparto fosse al sicuro. A questo punto però, giunto anche per noi il momento di ritirarci, riuscirvi in tali circostanze aveva quasi dell’impossibile. Dovevamo smontare la mitragliatrice, riporre le munizioni nelle cassette, caricarci il tutto sulle spalle e in pari tempo trovar modo di sparare qualche raffica o qualche colpo di fucile nella speranza di continuare a ingannare l’avversario per il tempo occorrente per fare tutto ciò. Con tutta probabilità non ci saremmo salvati se non fosse stato per un fatto talmente singolare da dover essere raccontato. (…) Nel momento di lasciare la postazione, che era quello di maggior pericolo perché non più difesa, fummo a un tratto avvolti ed occultati da una nube così fitta che, se da un lato scomparimmo del tutto alla vista del nemico, dall’altro ce ne insorse qualche difficoltà di movimento e il rischio di qualche brusco quanto mai indesiderato incontro. Appesantiti com’eravamo dai nostri fardelli, senza guida e incapaci di orientarci nonostante il rapido svanire della nebbia, vagammo a lungo perduti nel bosco fino a quando ci accolse per la notte un piccolo capanno (…). All’alba la giornata si presentava serena. Riprendemmo il cammino e nella tarda mattinata raggiungemmo finalmente il distaccamento che trovammo integro in località Pian d’Ortica, nella sella tra le due vette del monte Catria. Si era molto temuto che fossimo stati uccisi o catturati e rivederci fu di grande sollievo per tutti. Tuttavia non ci fu né poteva esserci atmosfera di allegrezza o di festa a causa del lutto per la morte del compagno caduto in combattimento e per il ricupero della cui salma inviammo subito una pattuglia. Ma c’era dell’altro: ci attendevano delle novità, una delle quali di estrema gravità» (C. Cecchi, 2009).

Infatti giunse sul posto una delegazione di quattro o cinque persone capeggiata da un prete, con la notizia che i tedeschi, per rappresaglia alla perdita di tre uomini (il sottufficiale morto e i due soldati catturati), avevano preso in ostaggio a Cagli trenta persone che sarebbero state fucilate se non avessero liberato i due militari. Cecchi mandò a dire ai tedeschi, attraverso la delegazione, che i due prigionieri non erano affatto tali, poiché essendo austriaci si consideravano vittime del nazismo e pertanto avevano deciso di andare verso il fronte e passare le linee per ricongiungersi agli alleati. Effettivamente furono consegnati incolumi agli alleati. Non cedendo al ricatto, Cecchi rischiò che gli ostaggi di Cagli fossero uccisi, ma dopo alcuni giorni giunse la notizia del rilascio.

Il Pisacane potè così ricongiungersi al resto della brigata. Cecchi ebbe l’affidamento del comando dell’intero I° battaglione, di cui il Pisacane era solo uno dei distaccamenti, insieme al Fastiggi e al Gramsci. Tito Romitelli prese il comando del Pisacane e commissario politico della brigata divenne Aldo Gabbanelli di Ancona (Marco).

LIBERAZIONE

Il 13 luglio i partigiani del candigliano su invito degli alleati e mal volentieri, passarono le linea alleate e giunsero a Gubbio dove deposero le armi e in buona parte si arruolarono nel Cil, lasciando così alle forze regolari il compito di portare a compimento la liberazione di quella zona.
Il 22 agosto 1944 una pattuglia di marinai del reggimento San Marco, aggragato all’Ottava Armata, proveniente da Frontone, entrò a Cagli dal quartiere Borgo, si diresse verso la piazza del comune dove erano ad attendere alcuni membri del Cln. Insieme issarono una bandiera tricolore sul balcone del comune.

Bibliografia
A. Gabbanelli, 1944: fuochi di guerra sul Monte Catria, Il Lavoro Editoriale, Ancona 1984.
Comune di Cantiano, ANPI Pesaro-Urbino, Lotta partigiana e antifascismo nel comune di Cantiano. Testimonianze raccolte da Angelo Ceripa, Cantiano 1998.
G. Tumiati, Morire per vivere. Vita e lettere di Francesco Tumiati medaglia d’oro della resistenza, Corbo, Ferrara, Roma 1995.
U. Marini, La resistenza nel Candigliano, Metauro, Fossombrone 2000.
L. Pasquini, N. Re (a c. di), I luoghi della memoria. Itinerari della Resistenza marchigiana, il lavoro editoriale, Ancona 2007.
Intervista a Claudio Cecchi del 10, 11, 14 maggio 2007 (7 h. e 51 mn), in Archivi della Resistenza. Archivio video Irsmlm.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.
C. Cecchi, La battaglia di Paravento (monte Catria) 19 e 20 giugno 1944, Pesaro, aprile 2009, (Versione riveduta e corretta, Giugno 2012), pubblicato in pagina fb Vilano della Battaglia il 27 giugno 2012.