Acquasanta Terme

Nella zona di Acquasanta Terme la lotta partigiana prese piede già nel mese di settembre 1943 come conseguenza dei combattimenti avvenuti nelle vicine località di Ceppo e Bosco Martese. Il primo nucleo di resistenti si formò nella frazione di Fleno per opera di don Giuseppe Orsini, poi noto come comandante ≪Von Boch≫, che si impegnò nel dare assistenza e rifugio a ex prigionieri e renitenti alla leva. Ugualmente fece don Carmine, detto il ≪Principe≫, ad Umito e a San Martino, altre due frazioni di Acquasanta. In effetti in tutta la provincia di Ascoli la partecipazione dei parroci al movimento di resistenza, soprattutto nei primi giorni, fu davvero importante.

In seguito allo scontro di Bosco Martese, avvenuto il 29 settembre 1943, affluirono nella zona di Acquasanta molti superstiti guidati dal capitano slavo Vittorio Pasinovich. Nel comune trovarono rifugio anche numerosi prigionieri inglesi e slavi provenienti dai campi di concentramento di Servigliano e di Colfiorito. Per la maggior parte diretti al Gran Sasso e alle linee anglo-americane, si fermarono temporaneamente ad Acquasanta.

Il 2, 3 e 4 ottobre, in concomitanza con l’azione contro Colle San Marco, le forze tedesche procedettero con azioni di rastrellamento anche nelle piccole frazioni di Fleno, Vallecchia, Favalanciata, San Vito, Novele, Umito, Pozza e Pito catturando numerosi ex prigionieri e lo stesso ≪Von Boch≫, che venne condotto in Aquila, da dove però riuscì a fuggire per far ritorno a Umito.

Nel frattempo il capitano dei carabinieri Ettore Bianco, anch’egli attivamente ricercato dai tedeschi dopo i fatti di Ascoli e Bosco Martese, raggiunse Umito con alcuni montenegrini e soldati italiani, reduci del combattimento di Ceppo. Questi uomini costituirono il primo nucleo di quella che diventerà la banda del capitano Bianco, come lui stesso racconta in una relazione al comando partigiano di Ascoli: ≪Dopo i fatti di Bosco Martese lo scrivente costituì, nei pressi di Padula, una banda di 30 montenegrini coi quali si trasferì sulla montagna di Acquasanta. Tale piccolo nucleo fu in breve portato a 250 uomini dei quali 45 italiani. Tutti i partigiani erano armati di moschetto con relative munizioni, mentre la banda disponeva di 4 fucili mitragliatori con 2000 cartucce. Poiché non era possibile tenere la banda tutta riunita, causa la deficienza di viveri decisi di suddividerla in piccoli gruppi che dovevano alloggiare nelle varie frazioni di Acquasanta e tenersi in stretto contatto col mio quartiere che era stato fissato a Umito≫ (Balena, p.187).

Così le piccole località di Pietralta, Pito, San Martino, Cervara, Arola, Fleno, Pozza e Umito si trovarono sotto il controllo dei partigiani di Bianco, che ricevettero dalla popolazione locale una buona accoglienza. Altro sacerdote che si avvicinò alla causa partigiana fu il reverendo Gisberto D’Angelo, parroco di Umito, il quale mise a disposizione la casa parrocchiale, trasformata ben presto nel quartier generale del gruppo. I partigiani cominciarono ad operare azioni di sabotaggio nella vicina via Salaria, importante via di comunicazione e di passaggio dei rifornimenti tedeschi. Allarmate dalla presenza nella zona della banda, le autorità fasciste di Acquasanta ricorsero nel mese di gennaio al comando tedesco di Ascoli. In tutta risposta furono svolte nella zona una serie di battute con l’intenzione di rastrellare quanti più ribelli possibile.

Il 17 gennaio due montenegrini rifugiatisi a Vallecchia furono sorpresi nel sonno e condotti in Ascoli dopo essere stati seviziati; contemporaneamente, durante un breve scontro a fuoco il partigiano Ventura Paolo rimase gravemente ferito. Nella notte del 6 febbraio i partigiani tesero un’imboscata alla guardia repubblicana, Emilio Massitti, del presidio di Acquasanta, da essi ritenuta responsabile del rastrellamento e la uccisero lungo la Salaria. Il 5 marzo compirono un’ulteriore azione contro la caserma dei carabinieri di Acquasanta che tuttavia terminò con un nulla di fatto a causa delle avverse condizioni atmosferiche.

L’11 marzo 1944 le operazioni di rastrellamento delle forze nazifasciste raggiunsero le piccole frazioni di Pozza e Umito, che vissero nel giro di poche ore un violento e sanguinoso scontro, cui seguì il barbaro eccidio di decine di persone tra civili e partigiani, italiani e stranieri. A Pozza furono uccisi due partigiani slavi e otto tra civili e partigiani italiani, a Umito caddero in combattimento dieci partigiani slavi e quattro tra civili e partigiani italiani,  altri cinque partigiani slavi furono uccisi tra la rotabile che collega Pozzo ad Umito e la frazione di San Martino. Dopo la tragedia il comandante Bianco trasferì la propria banda sulle montagne che da Quintodecimo si estendono fino a Tallacano. Il comando tedesco di Ascoli, intenzionato a scovare il gruppo partigiano, decise di inviare ad Acquasanta una compagnia di 100 uomini col duplice compito di difendere il paese da eventuali attacchi partigiani e, sulla base delle informazioni che avrebbero carpito sul posto, di procedere con la completa distruzione della banda. Quando accertarono che il gruppo era comandato da Ettore Bianco, su cui era posta una taglia di 200.000 lire, i fascisti intensificarono la caccia, aumentando il terrore tra la popolazione, ritenuta colpevole di aver concesso vitto e alloggio ai partigiani.

Il 21 aprile il patriota Pio Cesari da Pozza fu arrestato e accusato di aver partecipato alla spedizione dei ribelli del 5 marzo. L’arresto fu l’occasione per sottoporlo a un serrato interrogatorio sulla banda Bianco e sulla sua posizione attuale. Ma l’ostinato silenzio dell’uomo decretò la sua fine: dopo aver abbracciato un ultima volta i figli, venne trucidato sulla rotabile che da Pozza conduce ad Acquasanta. La sua morte accese nei partigiani un ulteriore sentimento di vendetta nei confronti di tutti coloro che avevano contribuito all’eccidio di Pozza e Umito (Balena, p.290 e segg).

Il 19 aprile altri 12 montenegrini che si trovavano in Pietralta per raccogliere viveri furono bloccati da soldati fascisti guidati da un agente tedesco e giustiziati sul posto. Altri due montenegrini evasi dal campo di concentramento di Colfiorito furono trucidati sulle montagne di Quintodecimo e poi fatti a pezzi con lancio di bombe.

Nel mese di giugno il gruppo del capitano Bianco operò soprattutto con azioni di disturbo delle retroguardie tedesche. L’11 giugno Bianco con una decina di partigiani disarmarono la caserma dei Carabinieri di Acquasanta agendo con cautela fra la massa di tedeschi che quella sera stazionavano nella cittadina.
Il 17 giugno la banda occupò militarmente Acquasanta impedendo di far saltare l’edificio della Colonia Montana e i ponti che si trovavano nella zona. Tutti i fascisti responsabili di azioni delittuose furono arrestati e deferiti agli organi alleati preposti. Ma per alcuni la giustizia, dettata da forti risentimenti di vendetta, fu immediata; i fratelli Di Marco Gabriele e Felice furono fucilati il 20 giugno 1944 a Pozza nello stesso posto dove erano stati giustiziati i partigiani l’11 marzo.

Bibliografia
S. Balena, Bandenkrieg nel Piceno (settembre ’43 giugno ’44), Ascoli Piceno [s.d.].
L. Di Domenico, I fatti di Pozza. Cronache e documenti sulla Resistenza acquasantana, Centro Stampa Piceno, Acquasanta Terme 2001.
F. Lattanzi, Appunti storici su Valle Castellana. Con particolare riguardo alle Provincie di Teramo e di Ascoli, vol.III°, Ascoli Piceno, 1955.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.