Montecarotto

Dopo l’8 settembre 1943, a Montecarotto, grazie all’appoggio sempre più numeroso delle masse contadine, cominciò ad organizzarsi la Resistenza.

Ai primi di dicembre entrò in funzione il CLN, costituito in modo unitario da elementi comunisti, democristiani, socialisti, repubblicani e indipendenti. Si promise di mantenere costantemente i contatti con il Comando partigiano di zona della Valle del Misa, la cui prima sede fu S. Fortunato, contrada tra Montecarotto e Serra dei Conti. E di sostenere nella ricerca di sistemazioni, vettovagliamento e armi sia il Gap cittadino che i partigiani che si stavano riunendo nella zona.

IL GAP IN AZIONE

Nella notte del 19 gennaio il Gap locale, insieme al gruppo di S. Angelo di Arcevia e al gruppo Lupi di Serra San Quirico, organizzarono un’azione per il disarmo della caserma dei carabinieri di Montecarotto, dove erano dislocati anche alcuni militi. Intorno alle due di notte, un piccolo gruppo di partigiani bussò alla porta con la scusa di esporre denuncia in seguito a un diverbio. Vista l’ora, il maresciallo si dimostrò titubante nell’aprire. A quel punto i partigiani iniziarono a lanciarre bombe a mano e a sparare contro la porta. Da dentro, i carabinieri risposero al fuoco innescando un breve combattimento (Galeazzi, 1985 p.25).

Contemporaneamente alcuni partigiani si recarono nell’abitazione del Commissario Prefettizio e Segretario del Fascio, Attilio Cappellini, invitandolo ad uscire di casa per comunicazioni urgenti. Non ottenendo risposta spararono diversi colpi contro la casa, a cui Cappellini rispose con altrettanti colpi di moschetto. Come riportato dalle carte della Questura, il milite Athos Archetti del locale presidio della G.N.R., uscito di casa perchè richiamato dagli spari, fu ucciso dai partigiani con diversi colpi di pistola; e il bracciante Luigi Lazzarin, anch’egli uscito per accertarsi di quanto stava accandendo, rimase ferito alla testa (Giacomini, 2008 p.212). Riguardo all’episodio, un ragazzino montecarottese scriveva nel suo diario: «Sono cinque anni che siamo in guerra, ma fino ad oggi si era sentita solo da lontano. Stanotte, era da poco iniziato il 19 gennaio con un tempo freddo e asciutto, un immenso frastuono di bombe a mano, mitragliatrici e fucili mitragliatori ha destato i montecarottesi. Immaginiamo subito che si tratta di un attacco di partigiani; io e la mia famiglia abitiamo proprio in piazza, nel fabbricato della Cassa di Risparmio e li sentiamo pure parlare fra loro perchè un gruppo è appostato allo spigolo di casa all’inizio della Via San Nicolò; non sembrano italiani. Ad un certo momento tra una scarica e l’altra, ora più vicina ora più lontana, si odono lamenti e invocazioni di aiuto di persone ferite. Il fracasso della battaglia dura circa un’ora; i lamenti diverse ore, poi cessano. Al mattino alle ore 6.30 quando osiamo spiare dalle finestre lo spettacolo è tremendo; sulla piazza giacciono due morti. […] Molta è la preoccupazione oggi in paese soprattutto per le rappresaglie che potrebbero esserci; alla Benedizione nella Chiesa grande c’è tanta più gente del solito e Don Pio ha invitato tutti a pregare e stare calmi» (Galeazzi, 1985 p.99).
Numerose e costanti furono le azioni svolte dagli uomini del Gap, sempre in collaborazione con altri gruppi.

LA RESISTENZA DEI CONTADINI

I contadini e le contadine dell’intera regione marchigiana hanno dimostrato grande solidarietà nei confronti di sbandati, ex militari italiani e stranieri, evasi dai campi di concentramento, sfollati e partigiani. Non si sono limitati a dare da mangiare e da dormire ai patrioti, a nascondere le loro armi o a fare da staffette tra i vari gruppi. A volte hanno scelto di entrare nelle stesse formazioni partigiane. Hanno affrontato sacrifici e rischiato la vita quotidianamente. A testimoniarlo un episodio, simile a tanti altri: «Un giorno si presenta dal contadino Peppe Quajani uno sfollato da Bologna, un certo Calcatelli Oriundo di Montecarotto, il quale chiede una fascina di legna per riscaldare la propria famiglia che muore dal freddo. Dopo aver ascoltato le sue peripizie, Peppe, commosso, tira fuori dalla stalla un paio di buoi, li attacca al biroccio, carica su di esso una quindicina di fascine poi fa salire il Calcatelli e si avviano a Montecarotto, a casa di costui» (Galeazzi, 1985 p.19).

VERSO LA LIBERAZIONE

Dal mese di giugno 1944 prese avvio la fase di liberazione della provincia di Ancona. La lotta partigiana si fece più dura, con un susseguirsi di azioni volte a rendere sempre più critiche le manovre delle forze tedesche e a ridurre le distruzioni e le rappresaglie sulla popolazione civile.

Con l’avvicinarsi del fronte nel territorio della Valle del Misa, il Comando partigiano di zona si impegnò nel prendere contatto con i comandi dei reparti del Corpo Italiano di Liberazione. Il comandante delle formazioni operanti nella zona, Alberto Galeazzi, nome di battaglia Alba, si recò a Serra dei Conti e lì organizzò insieme agli altri comandanti e commissari partigiani un piano per la liberazione della zona. L’idea era quella di «entrare in azione sulla base di segnalazioni fatte dai campanili e dalle torri per indicare le forze nemiche impegnate e i mezzi a loro disposizione, in modo da poter attaccare le truppe in ritirata e prendere in trappola il nemico» (Galeazzi, 1985 p.33).

Il 26 luglio il comandante del Gap di Montecarotto, Domenico Angeloni, inviò i gappisti Mario Gasperini e Argelano Merli a Poggio San Marcello, dove sostavano le truppe di liberazione, per informarle che il paese era stato evacuato dai tedeschi. Nel pomeriggio dello stesso giorno venne inviata nella cittadina una camionetta con a bordo tre ufficiali del corpo polacco per accertarsi della situazione. Sempre lo stesso giorno arrivò a Montecarotto una squadra al comando del sergente Bianchi del IV plotone dei patrioti della Maiella, che stabilì un osservatorio sul campanile dell’ospedale. Raggiunto più tardi dal resto del IV e dall’VIII plotone, per un totale di circa 60 uomini, il paese di Montecarotto fu sistemato a difesa. Una squadra rimase a presiedere l’ospedale, una sbarrò la strada del cimitero, una sorvegliava la strada provinciale d’accesso al paese e un’altra si dispose a dominio della valle a nord-est del paese.

Durante la notte si verificarono frequenti scambi di colpi con le pattuglie tedesche in avanzata. Il giorno successivo invece Montecarotto sembrava avvolta dal silenzio. Il sergente Bianchi, accompagnato da due patrioti, uscì in esplorazione e localizzò presso San Paterniano una grossa postazione tedesca con mortai e cannoni di medio calibro. I patrioti, insieme ad una ventina di paracadutisti della Nembo, appena sopraggiunti in motocicletta, attaccarono i tedeschi. Ma dopo un primo sbandamento, le forze naziste risposero al fuoco pesantemente, portando i paracadutisti e i partigiani ad allontanarsi. La paura più grande era quella di essere accerchiati, ciò nonostante il sergente Bianchi tentò una seconda volta l’attacco. La piccola pattuglia non ebbe scampo: il patriota Amleto Cantucci perse la vita, mentre l’altro patriota e il sergente Bianchi rimasero gravemente feriti. Riuscirono giusto in tempo a trascinarsi fino a Montecarotto. Ma il giorno successivo Bianchi morì.

Nel frattempo i tedeschi assalirono l’ospedale di Montecarotto e la squadra di Bianchi «si precipitò dalle finestre decisa a farsi ammazzare piuttosto che cedere» (Galeazzi, 1985 p.36). Dalle informazioni ricevute, si ipotizzò che i tedeschi avessero intenzione di contrattaccare per riconquistare le alture dominanti l’Esino. Montecarotto rappresentava il fulcro dello schieramento alleato e doveva essere difesa in ogni modo. Così anche il XIII plotone venne chiamato a rinforzo. Lasciato Poggio San Marcello al tramonto, raggiunse Montecarotto verso mezzanotte fermandosi nella postazione del comandante Natale del IV plotone. Lì la pattuglia di punta, seguita dal resto degli uomini, si staccò per raggiungere l’ospedale e prendere accordi con il comando. In prossimità dell’ospedale gli fu intimato l’alt. Dopo aver dichiarato di essere della Maiella, gli venne risposto di avanzare. Improvvisamente la pattuglia fu aggredita da tedeschi e fascisti appostati nell’oscurità della notte. Ne seguì un confuso corpo a corpo.Ma ben presto la pattuglia fu sopraffatta: il comandante e due soldati rimasero feriti, il vice comandante fu catturato, la guida uccisa e il resto del plotone, accerchiato dal nemico, dovette ripiegare verso Poggio San Marcello, trascinandosi dietro cinque feriti. Solo sette uomini riuscirono a raggiungere l’ospedale.

Proprio l’ospedale fu nuovamente cannoneggiato dalle forze tedesche, che volevano a tutti i costi occuparlo. I pochi patrioti presenti al suo interno rispondevano sparando alla cieca nella vallata sottostante, evitando l’avanzata tedesca e procurando morti e feriti. L’assedio dell’ospedale non cessò neanche nei giorni successivi. Il terzo giorno la situazione si fece critica: si era sicuri che durante la notte i tedeschi avrebbero provato a riconquistare il caposaldo e i patrioti, svegli da più di quarantotto ore, con pochi viveri e un’esigua riserva di munizioni, temevano di non avere più la forza di resistere. Difatti nella notte del 29 luglio la battaglia riprese con tutta la sua forza: intorno alle due di notte una compagnia di paracadutisti tedeschi ed elementi repubblichini mossero per la quarta volta all’attacco. Salirono più volte dalla valle bersagliando con scariche di fucileria e mitragliatrici pesanti le finestre degli edifici, in particolare dell’ospedale, per impedire ai patrioti di rispondere al fuoco. Venticinque patrioti resistettero per ore. Solo nel pomeriggio del 30 luglio, il IV, l’VIII e il XIII plotone della Maiella lasciarono Montecarotto, sostituiti finalmente da cinque compagnie di paracadutisti della Nembo. Avvenuta la completa occupazione di Montecarotto, l’intero Gap si mise a disposizione del Comando del XIII Btg. del 184° reggimento Paracadutisti Divisione Nembo.

Fino alla giornata del 5 agosto si verificarono nel territorio di Montecarotto ulteriori e saltuari attacchi da parte di pattuglie tedesche in ritirata, oltre il fiume Misa. Così scrive nel suo diario il ragazzino montecarottese in data 6 agosto 1944, domenica: «Finalmente si può rientrare a Montecarotto! La situazione sembre tornata tranquilla. Ci apprestiamo a lasciare la casa di questa brava gente che ci ha ospitato. […] Quando arriviamo la piazza è gremita di gente; sulla Torre sventola la bandiera tricolore! Finalmente tutte le peripizie ed i pericoli sono passati. Ma la battaglia per la Liberazione di Montecarotto ha lasciato le sue tracce in qualche famiglia di paesani; ci sono stati infatti una decina di morti e diversi feriti» (Galeazzi, 1985 p.103).

Bibliografia
A. Galeazzi (Alba), Resistenza e contadini nelle carte di un partgiano (1919-1949), Argalia, Urbino 1980.
Montecarotto. I giorni della Liberazione, Montecarotto-Ancona, 1985.
R. Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Affinità elettive, Ancona 2008.

Archivio storia marche 900
Fondo Alberto Galeazzi