Villa Spada

La ricostruzione dell’attacco partigiano a Villa Spada la affidiamo a tre fonti che riteniamo le più attendibili: quella del capo partigiano Giuseppe Baldini, compresa nel suo memoriale, la più verosimile in quanto lui è presente all’azione; quella dell’altro esponente partigiano Gualtiero Simonetti, presente nelle sue memorie e basata sul racconto dei compagni del suo gruppo che parteciparono all’impresa; il resoconto ufficiale che il Prefetto invia al Ministero dell’Interno qualche ora dopo l’accaduto.

Baldini e Simonetti affermano che l’azione si svolse nella notte tra il 25 e 26 ottobre, mentre il telegramma del Prefetto parla della notte tra il 28 e 29 ottobre (essendo un documento ufficiale dovrebbe essere giusta questa data).

Per Baldini all‘azione presero parte cinque suoi uomini e sei uomini del gruppo “Mario” al comando dello slavo “Giulio”. Per Simonetti i partecipanti all’azione furono una trentina tra slavi, inglesi e italiani. Tutti e due sono concordi nel riferire che al comando c’erano Baldini e Pyne (un altro del gruppo dovrebbe essere stato lo scozzese Douglas) per il gruppo “Roti”, e “Giulio” per i componenti del gruppo “Mario”.

Per la Prefettura i partecipanti all’azione furono un centinaio (cifra decisamente gonfiata e inattendibile).

La premessa dei due esponenti partigiani è uguale: alcuni somali fuggiti da Villa Spada hanno fatto sapere che in quel luogo, oltre a loro compagni prigionieri, sono custodite delle armi; “Giulio” ne è venuto a conoscenza e vista la carenza di armento del gruppo ha deciso per l’azione.

Perché ne viene messo al corrente anche il gruppo “Roti”? Primi tentativi di collaborazione tra bande? Anche perché i partigiani del gruppo “Roti” sono distanti ben dieci ore di cammino dal luogo (testimonianza dell’inglese John Cowtan che afferma nelle sue memorie di aver partecipato all’azione, Baldini non lo cita).

I due gruppi si incontrano a Passo Treia e da lì insieme marciano verso la villa. Durante la notte piove e fa freddo.

Per Baldini non ci fu scontro a fuoco, lui con l’aiuto di un somalo che li aveva guidati alla villa e che sapeva dove erano nascoste le armi, scavalca le mura. Scoperti dai cani ricevono qualche colpo di moschetto dalle finestre, ma una volta entrati della villa, i tre militari di guardia si arrendono senza resistenza. Si oppone solo il loro comandante, asserragliato all’interno del proprio ufficio e viene ferito ad una gamba probabilmente da Douglas nel tentativo di sfondare la porta. Trovate le armi, Baldini non quantifica la loro consistenza, i partigiani danno la possibilità ai prigionieri africani di scappare, alcuni si aggregano a loro.

Per Simonetti la zona viene circondata e pattuglie di partigiani bloccano le strade di accesso. Baldini e il somalo scavalcano le mura ma i cani li scoprono e inizia un combattimento che dura circa due ore, poi i militi si arrendono e contano quattro feriti, due feriti leggeri tra i partigiani. Il maresciallo che aveva aperto la porta d’ingresso ignaro di trovarsi di fronte a degli assalitori viene ferito da Douglas. I partigiani sequestrano 16 armi, alcuni somali si aggregano a loro (tra loro il principe Aden).

Il Prefetto così sinteticamente relaziona: il maresciallo (Cestelli Enrico maresciallo PAI) viene ferito gravemente nella sua stanza non alla gamba ma bensì alla spalla e al viso (probabile se per aprire la stanza Douglas e Giulio spararono contro la porta). Viene ferito all’addome anche il proprietario della Villa Vannutelli Giancarlo e due somali. Altri e due vengono prelevati forzatamente. Nel totale dei prigionieri africani detenuti nella Villa ben dieci risultano mancanti dopo l’attacco. Non solo, i partigiani si impossessano di circa 20 fucili mitragliatori altrettante pistole automatiche e munizioni.

Finita l’azione i gruppi riprendono la strada per i loro rifugi.

 

Per una ricostruzione accurato dell’episodio si veda, M. Petracci, Partigiani d’oltremare. Dal corno d’Africa alla resistenza italiana, Pacini, Pisa 2019.