Tumiati Francesco

Ferrara, 25 maggio 1921 – Cantiano, 17 maggio 1944

La famiglia apparteneva alla borghesia colta ferrarese. Il padre Leopoldo, avvocato e preside della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Ferrara, era stato deputato del Blocco nazionale nel 1921-24. Tumiati, che in famiglia chiamavano “Francino”, assorbì quindi i modi raffinati e il rigore morale dell’ambiente familiare, ma questo non gli impedì di coltivare lo spirito critico e l’anticonformismo culturale. Studente in legge, conobbe e frequentò Giorgio Bassani, amico di famiglia, e Michelangelo Antonioni, ammirava poeti come Ungaretti e Montale e leggeva autori russi e americani. I primi contatti con l’antifascismo probabilmente risalgono all’estate del 1940, sebbene avesse deciso e fece di tutto per arruolarsi volontario quando il fascismo trascinò il Paese nel conflitto mondiale. Un’adesione provocata, secondo il fratello Gaetano, dall’eredità ideale del Risorgimento e da una “concezione romantica, del tutto astratta della guerra”. Importanti furono anche gli incontri con la coetanea Aurelia Savonuzzi la cui famiglia era a tutti nota in città per il suo rifiuto del regime – il padre Girolamo sarà fra gli assassinati dai fascisti nell’eccidio di Ferrara del 15 novembre 1943. Nel gennaio 1941 arrivò la chiamata alle armi e la partecipazione, a Livorno, al corso di allievi sottoufficiali. Alla fine di agosto, a Napoli, senza formale autorizzazione, parte per il fronte libico e partecipa alla battaglia di Marmarica, attorno a Tobruk e Bir el Gobi. Questa esperienza segna una prima riflessione critica sul fascismo che aveva trascinato il Paese in guerra. Nella primavera del 1942 Tumiati, indebolito nella salute, rientra a Ferrara per raggiungere poco dopo a Bologna il 3° Reggimento carristi e iniziare il corso allievi ufficiali. Qui si lega di amicizia con Antonio Romagnino che gli fa conoscere i saggi di Croce e la sua “religione della libertà” e riprende a frequentare Aurelia Savonuzzi in un contesto, anche affettivo, che approfondisce sempre di più la sua crisi interiore. Promosso sottotenente è destinato al 32° Reggimento carristi a San Michele Extra, vicino a Verona, dove ritrova l’amico dell’adolescenza Giovanni Dusi con il quale inizia a leggere Il Capitale e Il Manifesto di Marx. In questo periodo ha sporadici incontri con alcuni studenti universitari di Padova legati a Egidio Meneghetti e Concetto Marchesi. L’8 settembre 1943 lo coglie a Verona. Non riesce a organizzare un contrasto ai tedeschi e decide per il rientro a Ferrara. Il precipitare degli eventi con la costituzione della RSI lo spingono a raggiungere il sud liberato dagli Alleati. La sua è ormai una scelta definitiva: il fascismo è il nemico da combattere senza compromessi e tentennamenti.  Intraprende quindi con l’amico Ercolino Padovani, accompagnati dal coetaneo seminarista Alceo Battazzi, un lungo viaggio in direzione dell’Appennino marchigiano dove il Battazzi ha uno zio prete, don Edmondo Cotignoli, parroco di Peglio, nei pressi di Urbania. Raggiunto il piccolo borgo, poco dopo “Francino” rimane solo perché il Battazzi ritornò indietro e l’amico Ercolino, renitente, sarà convinto dal padre a rientrare con lui a Ferrara. Dalla base di Peglio Tumiati si inoltra in direzione della località di Orsaiola, accolto da don Agapo Tacchi, ma il pericolo sempre incombente lo costringe a spostarsi a Sodello, un luogo molto nascosto. A novembre inizia a battere la zona per cercare un contatto con il partigianato, ma solo i primi di gennaio 1944 saranno operativi i primi distaccamenti che formeranno la V Brigata Garibaldi “Pesaro”. Nel suo peregrinare incontra prigionieri alleati, giovani renitenti e gli internati slavi evasi da Renicci che ammira per il loro coraggio e determinazione. Il tassello che ancora mancava per orientarlo verso una visione politica liberal-socialista più consapevole gli viene offerto dalla conoscenza del mondo contadino e della sua miseria. Il 23 gennaio 1944 incurante del pericolo per la presenza della milizia fascista è tra i soccorritori delle vittime del terribile bombardamento alleato che distrusse il centro di Urbania provocando 250 vittime e centinaia di feriti. Intanto riesce con l’amico Aldo Tacchi, nipote di don Agapo, a raggiungere le bande partigiane nella zona di Cantiano a cavallo tra Marche e Umbria. Entra in un gruppo, composto in prevalenza di slavi, che si muove con molta autonomia, non sempre condivisa dal comando di Brigata, egemonizzato dal giovane partigiano sloveno Leopold Verbovšek (“Poldo”) con il quale condivide diverse azioni spericolate contro le caserme repubblichine e dei carabinieri di Acqualagna, Piobbico e Cagli. Partecipa col suo gruppo, all’aspro scontro di Vilano del 25 marzo, provocato da un massiccio rastrellamento della Wehrmacht e dei fascisti, tenendo la posizione chiave di San Polo. Racconterà in seguito “Poldo”, che quel giorno “Francino” non volle assumere il comando per modestia, ma che la sua esperienza di ufficiale fu decisiva e coraggiosa. Dopo Vilano, disattendendo gli ordini del comando partigiano, “Francino” e “Poldo” invece di disperdersi e nascondere le armi secondo le regole della guerriglia, continuarono a spostarsi col loro “distaccamento mobile” da una valle all’altra fino a quando si resero conto che i loro colpi di mano interferivano con la strategia della Brigata e accettarono di aggregarsi al 2° Battaglione come distaccamento “Dini” al cui comando venne designato Tumiati. Dopo l’assalto in pieno giorno contro la caserma dei carabinieri di Cagli del 5 maggio, che in parte fallì, ma ebbe una impensabile risonanza perché provocò il crollo della caserma, il comando di Brigata, prevedendo una reazione da parte di tedeschi e fascisti, ordinò ai partigiani di disperdersi, nascondere le armi e allontanarsi con prudenza dando a tutti appuntamento per il 17 maggio a San Polo dopo la fine del probabile rastrellamento. La reazione della Wehrmacht e delle Camicie nere, infatti, fu immediata e capillare e si protrasse molto più a lungo del solito. Tumiati trovò rifugio nelle basi di Sodello e dell’Orsaiola, ma con molta fatica per le non buone condizioni di salute e le lunghe deviazioni per evitare le pattuglie nemiche. Il 16 maggio, non avendo ricevuto contrordini, ne dedusse che il rastrellamento si fosse concluso e, malgrado arrivino concreti segnali che l’allarme non sia affatto cessato, si mette in cammino per raggiungere il luogo convenuto di San Polo. In realtà l’adunata era stata revocata, ma non tutti ne erano stati messi al corrente per le difficoltà di collegamento e di comunicazione. A Cardella ritrova “Poldo” e altri slavi del suo distaccamento, ma lo stesso “Poldo” è prudente e preoccupato e lo sconsiglia di raggiungere Cantiano, ma Tumiati è deciso a proseguire insieme ai due slavi Batrić Bulatović e l’adolescente Djuro Kužet (“Giorgio”). L’indomani mattina sono in prossimità di San Polo, sostano come altre volte nella casa colonica dei Rabbini, ma sono sorpresi da una pattuglia di fascisti o di SS tedesche, le versioni sono contrastanti. Condotti a Cantiano, dopo l’interrogatorio vengono portati nei pressi del cimitero e fucilati. Secondo le testimonianze degli stessi esecutori, il contegno di Tumiati è fiero e coraggioso, altrettanto quello di Bulatović, mentre Djuro ha gli occhi pieni di lacrime. Il comandante “Francino” rifiuta di sottoscrivere il giuramento di fedeltà alla repubblica di Mussolini in cambio della vita e della deportazione in Germania e sceglie di morire con i suoi uomini. Per il suo contegno sarà decorato di medaglia d’oro alla memoria.

Fonti: ASAPU, 01-5-2-72-b.88-fasc.72; Ibid., 01-7-85-b.136-fasc.85; www.straginazifasciste.it, Episodio di Cantiano del 17 maggio 1944 (Redattore Chiara Donati, con la collaborazione di Roberto Lucioli).

Bibl.: A. Tacchi, Francesco Tumiati (Francino), a cura della Sezione partigiani “F. Tumiati” di Urbania, Centro stampa Provincia di Pesaro-Urbino, Pesaro 1994; G. Tumiati, Morire per vivere. Vita e lettere di Francesco Tumiati medaglia d’oro della Resistenza, Prefazione di G. Conso, Corbo Editore, Ferrara 1997 (II ed.); M. G. Martinelli, Il diario di Leopold Verbovšek, un partigiano jugoslavo sulle montagne dell’Appennino umbro-marchigiano, Tesi di laurea, Relatore prof.ssa M. R. Porcaro, Università degli Studi di Perugia, A.A. 1999-2000, pp.143-155; L. Bedeschi, Quegli occhi che nessuna mano ha chiuso, in A. Ceripa (a cura di), Lotta partigiana. e antifascismo nel Comune di Cantiano, Comune di Cantiano-Anpi Pesaro e Urbino, Melchiorri, Pesaro 2001 (II ed.), pp.33-45.

(E. T.)