Ancona, 30 gennaio 1910 – Milano, 31 gennaio 1953
Adelmo Pianelli, figura singolare di comunista solitario, sprezzante quanto genuino. Figlio di operai abita in via Guasco, 23, una delle zone povere della città. Quartiere di operai e pescatori, facchini del porto, simpatizzanti anarchici, giovani interessati al comunismo. Frequenta le classi elementari con profitto, ma legge anche molto al di fuori della scuola formandosi una preparazione come autodidatta. Non si hanno notizie del padre che per qualche motivo ha lasciato la famiglia, lo si evince dalle lettere che Adelmo scrive, dal confino, per essere rimandato a casa quale unico sostegno della famiglia, una madre e due sorelle più piccole. Terminata la scuola intraprende, con passione, il mestiere di tipografo. Si iscrive al Fascio giovanile, come consigliabile per i giovani della sua età, ma nel rione in cui abita i sentimenti a favore del regime non sono condivisi. È attratto dalla personalità dell’operaio Maderloni e del suo amico Felici. Non lascia il fascio ma le sue idee convergono con quelle dei comunisti e diventa un fedele seguace del gruppo anconetano. È lui che asporta i caratteri dalla tipografia S.T.A.M.P.A. in cui lavora e che servono per stampare un volantino, il cui ritrovamento da parte della polizia porterà al fermo di tutto il gruppo anconetano del Pcd’I. Per questo motivo è arrestato il 26 febbraio 1932 e deferito al TSDS. Resta in carcere fino al 1° dicembre 1932. Dal carcere scrive spesso alla madre e inizialmente si mostra ravveduto di quello che ha fatto, proclamandosi raggirato. Sapendo di essere censurato cerca di farsi passare per un giovane ingenuo fedele ai dogmi fascisti e profondamente pentito. Ma i mesi di carcere a Regina Coeli si susseguono lenti, deprimenti; passati in prevalenza in cella di isolamento a chiedersi di quale colpa effettiva si è accusati. Adelmo regge il gioco fino a quasi la fine, ma il 25 novembre 1932, già sapendo dell’amnistia, scrive alla madre una lettera in cui professa tutta la sua fede comunista. Difficile capire se sia stato veramente il carcere a trasformare Pianelli o se la sua sia stata una farsa fin dall’inizio. Di certo siamo di fronte ad una personalità complessa, ma che denota chiarezza di idee, fermezza nelle scelte, senza nessuna remora o paura. Pianelli sapeva che le sue lettere erano passate alla censura, era perfettamente consapevole che quello che aveva scritto non avrebbe per nulla giovato alla sua causa, come al contrario aveva fatto intendere nelle lettere precedenti. La sua è una scelta convinta e coraggiosa, malgrado la sua giovane età, una madre che non approva il suo modo di agire, una salute malferma (dai compagni era sopranominato Agonia), i suoi polmoni sono in sofferenza il suo intestino fa capricci. È una lettera che suona come una sentenza per il resto della sua vita. Al suo rientro ad Ancona viene proposto, il 25 dicembre, alla commissione per il confino, che il 3 gennaio 1933 lo condanna a cinque anni; il ministero dell’Interno il 19 gennaio lo destina alla colonia di Ponza, che raggiunge il 14 febbraio. Il 10 giugno 1933 è arrestato in colonia con altri 150 confinati per contravvenzione alle norme sul confino e condannato a cinque mesi di reclusione poi ridotti a quattro, rientra al confino il 20 ottobre 1933. Il 12 dicembre è condannato a nove giorni di reclusione per disturbo d’udienza. Il 24 febbraio 1935 è denunciato e arrestato per protesta collettiva, il 3 maggio condannato a dieci mesi di reclusione (ridotti poi a cinque). Il 1° febbraio 1936 è trasferito a Ventotene. Il 26 aprile 1936 il confino gli viene commutato in due anni di ammonizione, il primo maggio 1936 rientra ad Ancona. Il 22 maggio, con atto di clemenza del capo del governo, l’ammonizione gli viene tolta. Il 2 giugno 1936 è di nuovo arrestato per violenza e resistenza all’autorità e condannato a sette mesi di reclusione con il beneficio della condizionale. Abita sempre in via Guasco la sua salute peggiora, il lavoro è sempre un miraggio. Il 2 settembre 1936 è tratto in arresto, denunciato da Aristide Duranti perché entrambi, con altri, sono accusati di commentare la situazione spagnola, sperando in una vittoria dei “rossi”. Nel corso della sua deposizione Duranti afferma che Pianelli è uno dei più scalmanati nel professare le sue idee politiche. Interrogato Adelmo nega ma viene ugualmente proposto per il confino per cinque anni. Il Ministero, viste le sue precarie condizioni di salute, gli commuta il confino in due anni di ammonizione (20 ottobre 1936). L’11 gennaio 1937 è di nuovo tratto in arresto perché accusato di voler favorire l’espatrio clandestino di Goffredo Gobbi e Osvaldo Lucioli che intendevano andare a combattere in Spagna. La commissione per il confino lo propone per quattro anni (24 febbraio 1937). Il 23 marzo giunge a Grottole (Matera). Il 15 maggio è spostato a Palmi (Reggio Calabria) per motivi di salute. Il 23 giugno è arrestato in colonia per contravvenzione agli obblighi del confino, si associava con altri elementi sospetti in linea politica, tradotto nelle carceri di Palmi. Scarcerato e trasferito a Locri per continuare il confino. Il 30 settembre 1938 è denunciato dalle guardie municipali di Locri per inosservanza alla carta di permanenza, è assolto per insufficienza di prove. Il 9 febbraio 1939 è trasferito a Maida (Catanzaro). Dall’11 maggio 1939 si trova nel sanatorio antitubercolare di Marulli (Cosenza), qui il 12 agosto 1939 è condannato a quattro mesi di reclusione, carcere di Cosenza, per comportamento antifascista “rivelando un carattere ribelle e irriducibilmente antifascista”. Il 16 dicembre 1939 scontata la pena carceraria è trasferito a Ventotene, è malato cronico per questo il 28 agosto 1940 è trasferito al sanatorio di Arco di Trento. Sul finire del marzo 1941 il confino gli viene tramutato in ammonizione sempre per le precarie condizioni di salute. Nel marzo del 1941 rientra ad Ancona e trova occupazione come contabile presso la ditta Paoletti, ma ad Ancona è troppo conosciuto per il suo passato politico e fa difficoltà a mantenere il lavoro. Nell’aprile 1942 si reca a Trieste, poi a dicembre 1942 è a Brescia (presentato con il suo passato politico è di nuovo ammonito, ammonizione che scade il 4 settembre 1943) dove perde il lavoro per le condizioni di salute. Si trasferisce ad Iseo (Brescia) presso la sua fidanzata Rosina Paganini una giovane insegnante. Ritenuto sempre pericoloso in linea politica, il prefetto di Brescia ne propone l’internamento in sanatorio, con la motivazione che la presenza del Pianelli in provincia di Brescia, sede di numerosi stabilimenti di produzione bellica, può essere nociva per la sicurezza. L’esame medico non conferma l’obbligo di ricovero in sanatorio, Pianelli, che nel frattempo si è sposato, lavora allo stabilimento ausiliario “O.M.” di Brescia, ma per il Prefetto va comunque internato in un campo di concentramento almeno per tutta la durata della guerra. Rientra con la moglie ad Ancona il 30 luglio 1943, dichiara di essere munito di foglio di via obbligatorio rilasciatogli dal commissario prefettizio del comune di Iseo ma che ha smarrito durante un allarme aereo. Riprende alloggio nella sua vecchia dimora in via Guasco, 21 con la madre. Scrive alcuni articoli sul <<Corriere Adriatico>>, dopo l’8 settembre in mano alla Concentrazione Antifascista, sul tema dei sindacati. Con l’arrivo dei tedeschi si trasferisce a Loreto, poi a Milano per ragioni personali. Qui entra subito nella Resistenza, commissario politico della 54^ Brigata Garibaldi “Valle” con il nome di battaglia di “Morgagni”. Dopo sei mesi, il partito lo destina alla federazione di Varese, responsabile Agit-Prop. Poi di nuovo a Milano, dove si occupa dei compagni milanesi e della provincia che lavorano in seno ai Cln. Con la liberazione torna provvisoriamente ad Ancona, scrive articoli per <<Bandiera Rossa>>, almeno fino al maggio del 1946, per poi trasferirsi definitivamente a Milano e collaborare nella redazione de <<Il Tessile>> diretto da Teresa Noce che si trasformerà nel 1949 ne <<La Voce dei tessili>> organo della F.I.O.T. Muore, ricoverato in ospedale, a Milano il 31 gennaio 1953.
Fonti: ASA, fondo Questura, sorvegliati politici, ad nomen.
Bibliografia: C. Maderloni, M. Papini (a cura di), Raffaele Maderloni. Ricordi 1923 – 1944, I quaderni dell’Istituto Gramsci Marche n.13/14 1995; R. Lucioli – S. Massacesi – M. Papini, Il Pci nelle Marche dalle origini al “partito nuovo” (1919-1945), affinità elettive, Ancona 2022.
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