Panichi Rosa Luxemburg

Cagli, 7 novembre 1921 – 1° maggio 2002

È figlia di Samuele Panichi (“Sam”) e della cittadina americana, di origine irlandese, Irene Catherine Barry (“Rina”). Molto legata alla famiglia e a Pianello, la frazione di Cagli dove risiede, vi nasce poco dopo il rientro del padre dall’esperienza lavorativa e politica in Pennsylvania dove era emigrato nel 1907. Tutta la famiglia, compresi la sorella maggiore Maddalena e il fratello Carlo Liebknecht, lavora alcuni fondi in proprietà integrando l’attività agricola con la gestione di un “negozio-osteria” e il commercio ambulante. La vita di Rosa è dunque strettamente intrecciata a quella dei familiari e del padre di cui condivide gli ideali del comunismo, declinati in una versione ribellistica e libertaria, che trovano concreta applicazione nei comportamenti e nelle scelte decisive. I fascisti di Pianello, tra i più violenti, rendono difficile la vita a Samuele Panichi, una persecuzione che provoca anche un peggioramento delle condizioni economiche della famiglia. Dopo l‘8 settembre prende parte agli incontri organizzati dal padre con gli antifascisti di Cagli e di Cantiano, tra cui Giuseppe Pieretti, Biagio Caiterzi, Amato Bei, Ubaldo Vispi, Giovanni Garofani, per decidere sul da farsi nel mentre accolgono e aiutano numerosi prigionieri alleati ed internati slavi evasi dai campi di concentramento e di internamento. Panichi forma una sua banda, operativa dal gennaio 1944, che per un periodo collabora con quella umbra della “San Faustino-Proletaria d’urto” poi abbandonata con l’avvocato Gustavo Terradura e le figlia Walchiria e Lionella perché nei comandi prevaleva l’attendismo. Inevitabili diventavano i contatti con la V Brigata Garibaldi “Pesaro” che agiva sull’opposto crinale appenninico marchigiano fino all’assorbimento della banda nel V Battaglione. Rosa si distingue da subito per il coraggio e la generosità. Partecipa a numerose azioni di sabotaggio della rete stradale e a scontri armati con i tedeschi lungo la Tifernate e la Flaminia. Stabilisce un forte legame di amicizia con Walchiria Terradura con la quale condivide i pericoli della guerriglia e le prime emotive riflessioni sulla condizione femminile a partire dal loro vissuto partigiano. Ed è Walchiria che ne traccia un ritratto realistico ed affettuoso: il corpo grande e solido che emanava una grande forza, l’allegria, l’amore per i bambini e l’antipatia per i preti, ad eccezione di don Giuseppe Celli parroco di Secchiano, il dolore devastante per la morte del fratello Carlo, appena ventenne, assassinato dai fascisti a Pian delle Capanne nel massiccio rastrellamento del maggio 1944 sull’Alpe della Luna. Vive con disagio e delusione il passaggio del fronte a Pietralunga e il disarmo della V Brigata imposto dagli Alleati e trascorre circa quaranta giorni, con il padre e la madre, in un campo per profughi e sfollati tra Assisi e Santa Maria degli Angeli prima di poter tornare a casa. Ma vi rimane poco tempo, perché con il padre si aggrega agli Alleati fino a Viserba per rientrare infine a Pianello solo dopo la liberazione di Ravenna avvenuta il 4 dicembre. Il dopoguerra non fu né semplice né facile per gli atteggiamenti ostili da parte di alcuni nei confronti di Rosa e della sua famiglia per presunti torti subiti dai partigiani. Inoltre, la condizione economica familiare era stata seriamente compromessa dalla persecuzione delle autorità fasciste e poi dalla guerra. Amarezze e rinunce che culminarono con l’accusa di avere sottratto notevoli quantità di grano dal Consorzio agrario di Cagli, affidato alla gestione di Rosa e del padre, per rivenderlo sottobanco alla Jugoslavia di Tito. Un’accusa grottesca maturata nel clima della guerra fredda per i legami dei Panichi con il PCI. Al padre, dopo la latitanza, fu evitato il carcere mentre Rosa, anche lei latitante per più di sei mesi, venne arrestata il 2 dicembre 1947. Condotta nel carcere circondariale di Urbino, agli inizi del 1949 fu trasferita nel carcere “speciale” femminile di Perugia, noto per la durezza delle sue condizioni, dove rimase per 15 mesi. Il processo si celebrò nel marzo del 1950 e Rosa venne condannata a 11 anni di carcere, ma in aprile è rimessa in libertà per il beneficio di due condoni dopo ventotto mesi di reclusione. Infine, nel 1952 ottenne la revisione del processo che scagionò completamente Rosa e il padre. Per tutta la sua vita è rimasta fedele alle scelte ideali della sua giovinezza. A Maria Laura Mariani che l’ha intervistata nel 1982 consegna alla fine questa considerazione: “Politicamente ero sempre la solita. In sezione, a fa’ le riunioni, a contrastare. Tante volte si faceva una discussione che poi alla fine… Siamo scivolati di male in peggio”.

Fonti: ISCOP, FGM, S. Panichi, Relazione del Battaglione “Carlo Liebknecht”, 1-27-b.6-fasc.12-21; Id., Memoria del movimento partigiano, Ivi, fasc.12-22.

Bibl.: L. Mariani, Quelle dell’idea. Storie di detenute politiche.1927-1948, De Donato, Bari 1982, pp. 187-195; 213-228; W. Terradura, Le compagne partigiane del mio battaglione: Rosina, in “Patria Indipendente”, .6/2002, pp.38-39; M. Milli – I. Ottaviani, Un uomo libero. Biografia di Samuele Panichi, affinità elettive, Ancona 2015.

(E. T.)