Gabbanelli Aldo

Opicina (Trieste), 20 febbraio 1924 – Chiaravalle, 28 aprile 1996

La famiglia, di origine contadina, per seguire il padre ferroviere si trasferisce a Opicina dove Aldo nasce per tornare in Ancona già bambino. Le modeste condizioni familiari gli consentono tuttavia di studiare, diplomarsi maestro ed impiegarsi. La scelta della famiglia la spiega lui stesso in 1944. “Avevano scelto per me l’istituto magistrale solo perché quella scuola durava un anno meno delle altre: sette invece degli otto dei geometri e dei ragionieri e un posto non era difficile trovarlo, soprattutto in qualche ufficio statale”. Non poteva allora prevedere che sarebbe diventato un maestro colto e appassionato e un apprezzato scrittore. Appena diplomato si impiega in banca ma gli eventi del 25 luglio e poi dell’8 settembre e la frequentazione di un gruppo di giovani operai politicamente più consapevoli lo convincono a collaborare nella diffusione del materiale di propaganda antifascista e poi a iscriversi al PCI. Ha l’occasione di conoscere anche il più maturo Gherardo Corinaldesi, il mitico “Lillo” responsabile del “buco stampa”, la tipografia clandestina dove si stampava “L’Aurora”, il foglio dei comunisti marchigiani, e con lui altri vecchi antifascisti che avevano provato il carcere e il confino come Adelmo Pianelli. Incontri che fugarono le residue incertezze provocate dal 25 luglio quando guardava la gente che “s’ammucchiava per le strade, parlava, rideva, s’abbracciava” e lui che non riusciva “a capire fino in fondo quello che succedeva”. Nelle giornate che seguirono l’8 settembre Gabbanelli non è più un timido spettatore, ma si sente protagonista di una città che “tornava a riscoprirsi ribelle”. Cadute le illusioni del 25 luglio – molti avevano creduto che la fine del fascismo significasse anche la fine della guerra – il 15 settembre i tedeschi occupano Ancona seguiti dai fascisti repubblicani della neonata RSI. Con l’occupazione militare tedesca la città diventò un obiettivo dei bombardamenti alleati essendo un nodo ferroviario importante e per la presenza dei cantieri navali. Terribili e devastanti furono quelli del 16 ottobre e del 1° novembre con centinaia di vittime e feriti, al punto che la città si svuotò dei suoi abitanti sfollati nelle campagne e nei piccoli centri della provincia. Gabbanelli e i familiari si rifugiarono a Osimo presso dei parenti ma poco dopo venne contattato dal partito e si trasferì a Sappanico per frequentare il corso per commissari politici. Destinato alla provincia di Pesaro nella seconda metà di dicembre incontra a Frontone Pierino Raffaelli (“Ugo”) comandante del Distaccamento “Gramsci”. Il “Gramsci”, tuttavia, non aveva ancora costituito una base al di fuori del paese, come sosteneva Gabbanelli, cosa che avvenne a febbraio quando il Distaccamento si ingrossò per la presenza di una quarantina di slavi montenegrini al comando di Milutin Pavličić (“Brko”, cioè “baffo”) e per il pericolo dei rastrellamenti che già avevano investito Frontone dopo le azioni di disturbo contro alcuni autocarri tedeschi. La scelta cadde sulla Madonna di Acquanera, una chiesa abbandonata, che diventò l’organizzata base del Distaccamento accogliendo anche parecchi giovani di Pergola e di Cagli renitenti alla leva della RSI. Si intensificarono le azioni contro tedeschi e repubblichini, lo scontro di Palcano, che il “Gramsci” sostenne assieme al “Picelli”, è per Gabbanelli il battesimo del fuoco della lotta armata come egli stesso racconta in Il primo combattimento. Alle soglie della primavera la crescita dell’organizzazione partigiana consentì di strutturarla in Battaglioni e di formare la V Brigata Garibaldi “Pesaro”. A Gabbanelli, alias “Marco”, apprezzato da Ottavio Ricci (“Nicola Antonini”) comandante della Brigata, e dai comandanti dei Distaccamenti, è affidato l’incarico di commissario politico del 1°Battaglione. Tra le azioni cui prende parte si segnala l’occupazione di Apecchio per distribuire alla popolazione il grano dell’ammasso e gli assalti alle caserme dei fascisti e sabotaggi e imboscate ai mezzi tedeschi in transito sulla Flaminia. Una situazione intollerabile per i tedeschi che volevano le strade sicure il che era possibile solo eliminando la guerriglia partigiana. Per questo attuarono un massiccio rastrellamento che si protrasse per più settimane. Il rastrellamento terminò alla fine di maggio e il 1° Battaglione, da Acquanera e dagli altri punti di raccolta convenuti, si ritrovò tra Pietralunga e Serra Maggio dove si stavano concentrando anche gli altri Battaglioni. Nel frattempo, il comandante Renato Vianello (“Raniero”) era passato al comando di Brigata come ufficiale di stato maggiore sostituito da Claudio Cecchi. Con il nuovo comandante Gabbanelli prese parte all’incontro, sollecitato da alcuni militari badogliani, per discutere un’offerta di tregua avanzata dai tedeschi con la mediazione di un sacerdote. Proposta respinta con decisione per l’evidente intento di disarmare i partigiani con queste parole: “Può riferire al comandante tedesco – disse Gabbanelli al sacerdote – che non ci sarà tregua, né qualcuno consegnerà le armi. Noi, continueremo a combatterli finché avremo fiato”. Nella prima metà di luglio la V Brigata andò incontro agli Alleati a Pietralunga. Una scelta contrastata e dopo un’attesa snervante di diversi giorni arrivò la decisione dei comandi alleati di disarmare la Brigata non concedendole quindi di continuare a combattere al loro fianco partecipando alla liberazione dei loro paesi prima dell’assalto alla Gotica. All’ultimo incontro a Umbertide con un generale inglese aveva partecipato con Ricci anche Gabbanelli. “Ce ne andammo in silenzio – racconta – pieni di rabbia, e di amarezza. I sacrifici di quei mesi, la lotta d’ogni giorno, le speranze, tutto, s’era vanificato in quella mezz’ora di quel giorno di luglio”. Nel dopoguerra Gabbanelli sceglie di risiedere a Falconara M. dedicandosi all’insegnamento nella scuola elementare. È un militante del PCI, entra nel Consiglio comunale nel 1957 e vi rimane fino al 1990 ricoprendo più volte la funzione di vicesindaco, protagonista tra gli anni Sessanta e settanta del rilancio economico e dello sviluppo sociale della sua città.  Nel partito è voce ascoltata e ricopre incarichi importanti nella commissione di controllo e nel Comitato federale e nella segreteria provinciale. Si distingue nella sua professione di insegnante per una non comune competenza dei processi educativi scrivendo anche racconti e poesie. Realizza strumenti di lavoro per gli insegnanti come Il Guazzabuglio e Io bambino. Tu uomo? Nel 1990 si ritira dalla politica attiva e si dedica con successo alla scrittura in cui si era già distinto come interprete della memoria resistenziale con 1944. Fuochi di guerra sul Monte Catria.

Fonti: ISCOP, FGM, A. Gabbanelli, Il primo combattimento, 1-28-b.6-fasc.13-13; partigianiditalia.beniculturali.it/archivio/ (Ricompart).

Bibl: A. Gabbanelli, 1944. Fuochi di guerra sul Monte Catria, il lavoro editoriale, Ancona 1984; (S.S), Addio a Gabbanelli comunista “storico”, in “Corriere Adriatico”, 30 aprile 1996; P. Papili, Aldo Gabbanelli, in “Nuova Ancona”, 5/1996; M. Papini (a cura di), C’era una volta il Pci. Storia della Federazione anconetana (1944-19919), affinità elettive, Ancona 2011, ad indicem.

(E. T.)