Fontanoni Lazzaro

Urbino, 16 febbraio 1896 – Meldola (Fo), 2 aprile 1944

Nel 1910, a quattordici anni, emigra in Svizzera dove lavora alla costruzione di una galleria ferroviaria, ma tre anni dopo ritorna a Urbino. Il 15 novembre 1915, richiamato alle armi, combatte nella Grande Guerra e il 23 dicembre 1917 è fatto prigioniero. Rimpatriato il 14 novembre 1918 è congedato con il grado di caporal maggiore il 15 dicembre 1919. Le sofferenze patite e l’orrore dei massacri lo segnarono per sempre. Ed è proprio in questo crogiuolo di morte e dolore che Fontanoni abbraccia gli ideali del socialismo per aderire poi al PCd’I. Non è certo che abbia partecipato a Urbino, il 20 febbraio 1921, al primo congresso provinciale comunista, il primo di tutta la regione dopo la scissione di Livorno, ma è comprovato il suo determinante contributo nell’organizzazione del gruppo comunista più forte presente nell’area del medio Foglia. Insofferente alle prepotenze e alla violenza dei fascisti che lo avevano minacciato di morte, nel 1923 emigra in Francia, a Denain, nella regione del Passo di Calais, dove trova lavoro come capo fonditore. Spesso si recava a Lione e a Lille ed ebbe probabilmente contatti con l’organizzazione e la rete di soccorso per i fuoriusciti antifascisti. Nello stesso tempo maturò una coscienza e una preparazione sindacale condividendo gli scioperi di protesta e le lotte operaie che si svilupparono in Francia tra il 1924 e il 1928. Nel 1934 decise di ritornare in Italia, forse per l’insicurezza di conservare il posto di lavoro, ma non è da escludere l’ipotesi che sia stato il centro estero del PCI a invitarlo a rientrare e che abbia ceduto al dovere morale della militanza. Rientrato a Urbino rilevava con grandi sacrifici una locanda-spaccio nei dintorni della città, riprendeva i contatti con i militanti comunisti diffondendo la stampa antifascista e nel 1938 faceva parte di un Comitato politico intercomunale clandestino. Ma era costantemente nel mirino dei fascisti da cui riceveva continue minacce. Strettamente sorvegliato dalle autorità di polizia, la sua corrispondenza era controllata e l’abitazione perquisita. Inoltre, era oggetto di provocazioni da parte di individui sconosciuti che si aggiravano nel Giardino della Galla, dove teneva la locanda. Una situazione difficile che metteva in pericolo anche i familiari al punto che nel 1936, se gli avessero rinnovato il passaporto, sarebbe molto probabilmente ritornato in Francia. Anni duri resi drammatici dalla guerra e da quanto accadde dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943 con la città occupata dai tedeschi e dalla sbirraglia repubblichina. Per la sua esperienza e dirittura morale era quasi naturale che Fontanoni diventasse un importante punto di riferimento per l’organizzazione della lotta armata condotta dalla V Brigata Garibaldi “Pesaro” con l’incarico di vicecomandante del Distaccamento “Gasparini”. Il 1° di aprile 1944, di ritorno con un altro partigiano, Mario Zuccaroli, da una perlustrazione nella zona tra Frontino e Badia Tedalda, a ridosso della linea Gotica, per verificare la possibilità di sganciamento del “Gasparini”perché si temeva un rastrellamento, nell’attraversare il paese di Frontino avvenne la sua cattura e quella di Zuccaroli. Su quanto avvenne in paese e sull’arresto non mancano i dubbi e gli interrogativi, altrettanto sui diversi passaggi di mano dai repubblichini ai carabinieri di Carpegna e infine ai tedeschi del comando di Meldola che lo torturarono per carpirgli informazioni. Non profferì parola e fu finito a pugnalate dagli aguzzini del “Boia” fascita Magnati. Su quanto accaduto, incrociando testimonianze e documentazione d’archivio, permangono ancora oggi molte ombre al punto da ipotizzare scenari molto diversi da quelli contenuti nella versione “ufficiale” conosciuta. È probabile che qualcosa non abbia funzionato nella filiera dei comandi partigiani che mancarono di lucidità dopo la cattura di Fontanoni e Zuccaroli. La rabbia e l’emotività ebbero il sopravvento con la conseguenza di adottare azioni sbagliate tali da compromettere ogni eventuale tentativo di scambiare i due catturati con altrettanti fascisti. Questo spiegherebbe perché dopo la Liberazione non si sia cercato di fare chiarezza sostenendo, invece, una versione che sottaceva verità scomode e attribuiva a Fontanoni e Zuccaroli leggerezze che provocarono la tragedia. Dopo la guerra venne meno anche una concreta solidarietà, da parte del PCI e del Comune di Urbino, verso la sua famiglia e solo il 6 maggio 1961 gli sarà dedicata una via nel nuovo quartiere di Piansevero. Conforto e collaborazione nella ricerca della verità, che vennero invece, soprattutto dal Comune di Meldola e dall’Anpi e dal Comitato unitario antifascista della cittadina forlivese che il 2 giugno 1976, in occasione del trentennale della Repubblica, dedicò una lapide al “martire della casa del popolo”, come i meldolesi ricordavano Lazzaro Fontanoni. Le sue spoglie furono riportate in Urbino solo nell’ottobre del 1980. Nello stesso anno, il 9 novembre, in occasione dell’iniziativa “Nove giorni con la Resistenza”, il sindaco Londei, consegnò ai familiari un attestato e una medaglia d’oro alla memoria.

Fonti: ASPU, Esercito Italiano, Distretto di Pesaro, Foglio matricolare di Fontanoni Lazzaro, n.3580, partigianiditalia.beniculturali.it/archivio/ (Ricompart).

Bibl.: S. Severi, Frontino 1° aprile 1944. Il martirio di Lazzaro Fontanoni pesa sulla coscienza di qualcuno, in Idem, Il Montefeltro tra guerra e Liberazione. 1940.1945, Società di Studi storici per il Montefeltro, San Leo 1997, pp.97-102; A. Fontanoni, Testimone predestinato. Grido di liberazione, Leardini, Macerata Feltria 2015; www.straginazifasciste.it, Episodio di Meldola (FC), 2 aprile 1944 (Redattore Roberta Mira).

(E. T.)