Filippini Giuseppe

Pesaro, 21 febbraio 1879-Ivi, 29 gennaio 1972

È uno dei personaggi più significativi della vita politica pesarese per un lungo arco di tempo, dagli inizi del Novecento alla metà degli anni Cinquanta, impegnato nelle lotte sindacali e la militanza socialista. Compie gli studi alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma, dove ha modo di assistere alle lezioni di Enrico Ferri e Antonio Labriola. Tornato a Pesaro, inizia l’attività forense distinguendosi nella preparazione giuridica e nella tecnica processuale. Senza dubbio  la sua scelta politica, più che dagli studi, è influenzata dall’ambiente dove è radicata un’importante tradizione repubblicana  e massonica e il socialismo costiano attrae  giovani intellettuali e professionisti che  lo declinano nella presa d’atto che la lotta di classe debba abbandonare le secche  del rivoluzionarismo parolaio per calarsi nelle rivendicazioni economiche e nella conquista dei comuni per migliorare le condizioni di vita delle classi sociali più deboli e indifese. Sono questi i presupposti che spingono Filippini ad aderire al PSI e diventare un protagonista delle lotte sindacali di mezzadri, braccianti, setaiole e operai ai quali fornì una moderna struttura associativa per contrastare con successo il padronato. Nel 1903 è eletto consigliere comunale per l’Unione dei partiti popolari e nominato assessore con il   sindaco Ettore Mancini, elezione e incarico confermati nelle amministrative del 1909, sindaco Ugo Tombesi. Negli anni che precedono il conflitto mondiale ed esauriscono l’età giolittiana, Filippini si concentra sulla costituzione, nel 1908, della CdL di Pesaro e il suo impegno è determinate per realizzare, tra 1911 e il 1912, la CdL provinciale e la prima “casa proletaria” della provincia dei soci della Cooperativa di consumo di S. Pietro in Calibano. Nelle dinamiche interne al PSI appoggia la linea di Turati partecipando ai congressi del partito. Il 20 maggio 1916 è richiamato alle armi con il grado di S. Tenente della Milizia territoriale. Nell’immediato dopoguerra Filippini risente della diffusa radicalizzazione dello scontro politico e partecipa alle manifestazioni per lo sciopero internazionale del 20-21 luglio 1919, indetto dai sindacati e dal PSI, per solidarietà con le rivoluzioni russa e ungherese, contro il Trattato di Versailles e il sostegno dell’Intesa agli “eserciti bianchi”. Nelle elezioni politiche di novembre è eletto deputato nel collegio di Ancona-Pesaro e Urbino e confermato in quelle dell’11 giugno 1921 a circoscrizione regionale. Contrasta nel PSI il frazionismo comunista e disapprova con forza la scissione di Livorno. Sottovaluta, come altri esponenti provinciali socialisti, le intimidazioni e le violenze sempre più accentuate e pianificate delle squadracce fasciste definite, in risposta a coloro che anche all’interno del suo partito chiedevano di contrastarle con decisione, opera di “quattro ragazzacci schiamazzanti che si sarebbero dispersi da soli”. Poco dopo matura la decisione di aderire al PSU dei “riformisti” Turati, Modigliani, Treves, Prampolini e Matteotti espulsi dalla maggioranza massimalista dopo il congresso socialista del 1° ottobre 1922. Di fronte al fascismo si sottrae allo scontro dedicandosi all’attività professionale al punto che il 27 luglio 1923 il prefetto segnalava che “dopo l’avvento del fascismo si è tratto prudentemente in disparte non dando più alcun segno di attività politica”. E ancora il 20 febbraio 1930 scriveva: “Pur rimanendo fermo nelle sue idee si disinteressa completamente di politica. É uno degli avvocati più rinomati del foro di Pesaro”. Tuttavia, dopo il 25 luglio 1943 svolge un ruolo importante riannodando i rapporti con i partiti antifascisti, partecipa alla costituzione del Fronte d’Azione e appoggia quella del CLN. Vive in clandestinità per undici mesi fino alla liberazione di Pesaro mantenendo i contatti con gli antifascisti. Collabora, nonostante l’età, alla riorganizzazione del PSIUP, partecipa ai lavori della Consulta regionale ed è nominato membro della Consulta nazionale. Il 2 giugno 1946 è eletto deputato dell’Assemblea costituente ed è senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana (1948-1953). Il 3 febbraio 1947, in seguito e alla scissione di Palazzo Barberini dell’11 gennaio aderisce al partito saragattiano del PSLI. Rimane attivo in politica fino agli anni Cinquanta.

Fonti: ACS-CPC, B.2065 (1901-1941); ASPU, Esercito Italiano, Distretto di Pesaro, Foglio matricolare di Filippini Giuseppe, n.4049; ISCOP, Fondo Filippini Giuseppe (1897-1980).

Bibl.: A. Tomasucci, I 45 giorni e il CLN, in AA.VV, Pesaro contro il fascismo (1919-1944), Prefazione di M. Stefanini, Argalìa, Urbino 1972, ad indicem; E. Santarelli, Filippini Giuseppe, in F. Andreucci-T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853-1943, Editori Riuniti, Roma 1976, vol.II, ad nomen; E. Torrico, Filippini, Giuseppe, in R. Giulianelli-M. Papini (a cura di), Dizionario biografico del movimento sindacale nelle Marche (1900-1970), Ediesse, Roma 2006, ad nomen.; L. Gorgolini, Giuseppe Filippini e il socialismo riformista. Dalle leghe di resistenza alla Costituente, IL Lavoro Editoriale, Ancona 2013; M. Papini, L’intelligenza della politica. Cento protagonisti del Novecento marchigiano, affinità elettive, Ancona 2016, pp. 152-154.

(E. T.)