Ferruccio Ascoli

Ancona 11 agosto 1897 – Auschwitz 30 agosto 1944
Figlio di Carlo Vittorio e di Ida Vivanti. Nel 1919 fu il fondatore del circolo nazionalista “Gabriele D’Annunzio” e partecipò, come fiduciario di Ancona, al movimento fiumano. Con Serafino Mazzolini guidò il locale movimento nazionalista sin dalla fine della guerra.
Si occupò subito di giornalismo e divenne direttore della “Sentinella”, storico settimanale osimano fondato nel 1877 da Valfrido Magnoni (ad nomen). Entrò ben presto in polemica con i socialisti, ma anche con coloro che in nome di ideali astratti sembravano disposti a rinunciare alle mire imperialiste dell’Italia (Gli isterismi dell’”Avanti” e di certa stampa alleata, ivi, 14 dicembre 1919). Legato agli interessi del conte Volpi e della Società marchigiana di elettricità, instaurò rapporti con Silvio Gai, anch’egli“elettrico” e futuro capo del fascismo marchigiano. La sua ideologia imperialistica si rese ancora più esplicita dopo i moti popolari noti come “rivolta dei bersaglieri”, che sollecitarono una reazione forte da parte della borghesia. Sempre su “La Sentinella” ribadì con chiarezza l’importanza dell’altra sponda adriatica proprio in difesa degli interessi italiani.
In un periodo di forti tensioni, l’11 novembre del 1920 partecipò a uno scontro con i “sovversivi” e rimase contuso. Proseguì comunque gli studi e nel 1921 si laureò in giurisprudenza presso l’università di Macerata. Il 17 dicembre dello stesso anno divenne procuratore legale.
Sempre più critico verso le classi dirigenti liberali e verso le stesse istituzioni parlamentari, sempre assieme a Serafino Mazzolini fu tra i fondatori del periodico nazionalista “La Prora”. Ne diventò direttore dopo di lui, all’inizio di ottobre del 1922. Nello stesso anno fece parte del comitato direttivo della “Grande Italia”, assieme a Enrico Fabi, Nello Zazzarini e Serafino Mazzolini.
Fieramente monarchico, fu assai critico con Mussolini sia di fronte alla dichiarazione sulla “tendenzialità repubblicana”, sia sull’ipotesi di pacificazione con socialisti. Il dissenso rientrò però molto presto e fu con Mazzolini tra coloro che confluirono nelle fila fasciste. Il 28 ottobre del 1922 fu tra gli anconetani che con Silvio Gai ed Ernesto Galeazzi si recarono a Roma per la famosa marcia, anche se arrivarono in ritardo, a sfilata compiuta. La mattina, infatti, avevano occupato la prefettura e altri uffici pubblici ad Ancona. Già presidente della sezione anconetana dell’Associazione nazionalista, sempre con Mazzolini aderì al fascismo e nell’agosto del 1923, a seguito della destituzione dei fascisti della prima ora, quali Silvio Gai e Nello Zazzarini, fu designato segretario politico del Fascio di Ancona. Ma già pochi mesi dopo, alla fine dell’anno, si ritrovò al centro di un attacco al direttorio da lui guidato, definito “dei deboli e degli inetti” dai suoi avversari. Il suo legame con Enrico Fabi, sindaco della città, lo portò così a essere al centro di una crisi profonda del fascismo dorico, scatenata soprattutto dai camerati della prima ora, restii a sottostare alla sua autorità. La querelle fu risolta con il commissariamento imposto da Roma e all’inizio di febbraio del 1924 Ascoli fu costretto alle dimissioni, restando delegato alla propaganda. Nel 1924, durante la crisi a seguito dell’uccisione di Matteotti fu “ripescato” e chiamato nel Direttorio anconetano come vice segretario. La sua carriera proseguì nel 1925 come addetto all’ufficio stampa del Direttorio nazionale del Partito fascista. Nel 1926 fu assessore nella giunta comunale di Ancona, guidata da Riccardo Moroder e collaboratore del reggente del fascio di Ancona, Arturo Vecchini. Già condirettore de “La Grande Italia” e poi segretario provinciale dei sindacati giornalisti, nel 1926 assunse la condirezione del settimanale “Il Popolo di Ancona”, assieme a Giuseppe Avenanti, ed entrò nella redazione del “Corriere adriatico” diretto da Mazzolini. Nel 1932 ne divenne direttore. Fu anche collaboratore de “L’Azione fascista”, giornale di dottrina fascista.
Nel 1928 si laureò anche in Scienze politiche presso l’università di Perugia e si adoperò in numerose iniziative sia pubbliche sia di corsi per i giovani, rivelandosi ad Ancona uno dei migliori propagandisti del fascismo. Troppo preso dall’attività giornalistica e politica, nel 1933 chiese la cancellazione dall’albo degli avvocati, disposta nel febbraio 1934.
Negli anni del regime ricoprì diverse cariche pubbliche: consigliere e assessore comunale, membro del Consiglio dell’economia e delle corporazioni, membro del comitato provinciale dell’Opera nazionale balilla e del comitato provinciale della Croce rossa italiana. In una proposta di onorificenza cavalleresca che il questore suggerisce al prefetto il 9 dicembre 1933, l’avv. Ascoli venne così definito: “di temperamento modesto e alieno da ogni esibizione si è mantenuto sempre
appartato. E’ però meritatamente considerato una delle figura più in vista del movimento nazionale e, per le sue doti, gode reputazione nella cittadinanza”.
Nel febbraio del 1938 fu improvvisamente estromesso da direttore del “Corriere adriatico” perché ebreo. Diversi mesi prima della promulgazione delle leggi razziali, probabilmente anche in previsione di un mutamento di linea del giornale, si chiuse la sua carriera politica e giornalistica.
Non mancarono lo sconcerto e i malumori per l’applicazione delle leggi razziali a un dirigente fascista della prima ora come Ascoli. Ma poche furono le agevolazioni che riuscì a ottenere. L’8 agosto del 1939 il Prefetto di Ancona scrisse al questore chiedendo che nei suoi riguardi (e di altri fascisti ebrei) non fossero applicate alcune disposizioni restrittive del R.D.L. del 17 novembre 1938. Ciò non gli impedì di essere discriminato e poi radiato dall’Ordine dei giornalisti nel 1940.
Durante la guerra si allontanò da Ancona, ma nel 1944 venne scoperto a Serrapetrona dove era sfollato sotto falso nome. Arrestato, venne internato nel campo di Sforzacosta. Trasferito poi a Pollenza, il 31 marzo le SS lo deportarono a Fossoli con altri 43 ebrei. Da qui l’inevitabile passaggio ad Auschwitz dove morì a 47 anni il 30 agosto 1944.

Bibliografia
M. Papini, Le Marche tra democrazia e fascismo 1918-1925, Il lavoro editoriale 2000.
G. Mayda, Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945. Militari, ebrei e politici nei lager del terzo Reich, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p.203.
I. Pavan e G. Schwarz (a cura di), Gli ebrei in Italia tra persecuzione fascista e reintegrazione postbellica, La Giuntina, Firenze 2001.