Dini Giannetto

Macerata Feltria, 1° novembre 1926 – Massa Lombarda (Ravenna), 1° aprile 1944

 La famiglia, di condizioni molto modeste, vive nel centro storico di Fano nei pressi di piazza XX Settembre. Giannetto cresce circondato dall’amore materno che contraccambia, un legame forse accentuato dall’assenza di un padre. “Per me – racconta la madre Maria Del Vecchio – era tutto.  Ero orgogliosa di mio figlio perché era buono, affettuoso, schietto e fiero”. La spiccata intelligenza e la propensione allo studio, gli consentono di conseguire appena sedicenne il diploma di maestro elementare e volendo proseguire gli studi filosofici si iscrisse alla Facoltà di Magistero dell’Università di Urbino. Insofferente alla cappa di conformismo che escludeva ogni curiosità intellettuale, si avvicinò a un gruppo di adolescenti con i quali coltivare e approfondire la critica al fascismo e alle sue grottesche manifestazioni esteriori. Nel periodo scolastico questo atteggiamento gli procurò l’antipatia e il rancore di alcuni insegnanti a cui si contrapponeva nelle discussioni filosofiche e religiose. Per qualche mese aiutò la famiglia, composta oltre che dalla madre dal nonno e dalla sorellina Maura, impiegandosi in qualità di addetto agli accertamenti agricoli. Nel periodo successivo al 25 luglio 1943 si espose pubblicamente e viene arrestato e denunciato, ma dopo l’8 settembre è attivo nel recupero di armi abbandonate dai militari per essere poi inviate ai primi nuclei partigiani in via di organizzazione nella zona appenninica sovrastante Cantiano. La scelta definitiva si concretizza tra novembre e dicembre quando, a distanza di poco tempo uno dall’altro, decide con gli amici Sandro Giammattei, Gianni Pierpaoli, Valerio Volpini e Vincenzo Lombardozzi di raggiungere i primi distaccamenti partigiani tra i monti Catria e Nerone. Aggregato al Distaccamento “Picelli” del 2° Battaglione della V Brigata Garibaldi “Pesaro”, si distingue per il coraggio e l’audacia con cui partecipa alle incursioni su Piobbico e allo scontro di Palcano del 24 febbraio 1944 nel corso del primo importante rastrellamento della GNR. Nella tarda mattinata del 19 marzo durante la marcia di trasferimento del “Picelli” per raggiungere Cerquetobono e Montenovo di Peglio, un gruppo intercettava a Ca’ La Lagia, nei pressi di Urbino, un automezzo guidato da un aviere che con imperdonabile leggerezza fu lasciato andare. Il militare raggiunta la città diede l’allarme e nel pomeriggio due camion di repubblichini e alcuni sodati tedeschi si portarono sul posto per organizzare un rastrellamento. Nel frattempo, Dini e Salvalai invece di proseguire il cammino si attardarono per guidare l’automezzo incappando nel rastrellamento. Abbandonarono allora l’automezzo che aveva esaurito il carburante e accerchiati resistettero per diverse ore provocando al nemico cinque feriti e un morto. Infine, furono catturati e condotti a Urbino dove nella piazza centrale furono esibiti come un trofeo per terrorizzare la popolazione subendo le violenze e il dileggio dei fascisti a cui presero parte alcuni cittadini. Trasferiti nel carcere di Pesaro, dove sostarono per una sola notte, l’indomani furono tradotti nel carcere di Forlì. Solo il 23 marzo la madre di Dini poté avere un colloquio col figlio che le riferì l’accaduto con queste parole “Ci ha tradito un prete mamma, ha fatto la spia. Abbiamo dovuto combattere quattro ore. Poi ci siamo riparati in un fosso. Io dicevo al mio compagno di non sparare, ma lui sparava. Aspettavamo che giungesse la notte. Potevo ammazzarne altri tre: sono passati su un murello, ma ho avuto compassione, erano quasi bambini”. Per quanto accaduto prima dello scontro a fuoco e della cattura le versioni non sono del tutto univoche sia sul tipo di mezzo (segnalato come autocarro, ma anche come “auto Balilla”), sia sulla presenza o meno di Erivo Ferri, comandante del “Picelli”, durante il trasferimento del Distaccamento. Secondo da Carlo Mancini, il “Picelli” era stato diviso in due gruppi: il primo, di cui faceva parte, camminando tutta la notte raggiunse senza problemi “a giorno fatto” Cerquetobono e Montenovo; l’altro gruppo, guidato da Ferri, sostò invece a Ca’ La Lagia. Il comandante dei Gap di Schieti, Adler Annibali, sostiene che Ferri avrebbe abbandonato il gruppo per tornare a casa affidando il comando del Distaccamento a Giannetto Dini.  Mancini e Annibali non furono diretti testimoni di quanto avvenne a Ca’La Lagia e non fanno cenno da quali fonti abbiano tratto le informazioni da loro riferite, ma qualcosa deve essere accaduto se Ferri poco tempo dopo fu sostituito nel comando del “Picelli” da Emo Castellucci. La madre ebbe un ultimo colloquio con Giannetto il 28 marzo. Quello fu l’ultimo perché la mattina del 1° aprile non poté vederlo: alle 6.30 con Salvalai era stato condotto dai tedeschi nel campo sportivo di Massa Lombarda dove legati a un palo vennero fucilati. La fretta con cui venne presa la decisione di giustiziarli è fatta risalire da Enrica Cavina a un attentato in cui il giorno precedente era stato ucciso a Massa Lombarda un caporale tedesco che indusse la Sicherheitsdienst des Reichsführers SS (SD), cui spettavano compiti di intelligence e di polizia sulle province di Forlì e Ravenna, a una reazione immediata allestendo una rappresaglia. La logica del provvedimento, in assenza dei colpevoli, prevedeva un “uso moderato del terrore”, scegliendo le vittime da un “parco-ostaggi” esterni al territorio con l’obiettivo di “scuotere la popolazione” ma evitando di provocare un odio tale da generare ritorsioni contro l’esercito occupante. Dini è stato decorato di medaglia d’argento al V.M. “alla memoria” e a Fano, Pesaro Urbino e Massa Lombarda gli sono state dedicate delle vie. Il 18 novembre 1945 sul luogo della fucilazione è stata posta una lapide e lo stadio è intitolato a “Dini e Salvalai”. Il 6 dicembre 1947 l’Università di Urbino ha concesso a Dini la laurea honoris causa in Pedagogia.

 Fonti: ASAPU, 01-5-2-85-b.90-fasc.85; 01-8-11-b.139-fasc.11; www.straginazifasciste.it, Episodio di Massa Lombarda del 1° aprile 1944 (Redattore Enrica Cavina); partigianiditalia.beniculturali.it/archivio/ (Ricompart).

Bibl.: C. Mancini, L’orologio in piazza. Urbino 1935-1946, QuattroVenti, Urbino 1992, pp.96-97; M.Del Vecchio-M.Dini, Vita e morte di Giannetto, Prefazione di M. Omiccioli, Editrice Fortuna, Fano 1995; U. Marini, La Resistenza nel Candigliano, Metauro Edizioni, Fossombrone 2000, p.81; E. Cavina, Massa Lombarda una città che resiste. Uomini e donne in lotta per le libertà democratiche Il Ponte Vecchio, Cesena 2005, pp.73-76; A. Annibali, Chi ha distrutto la V Brigata “Pesaro”?, AGE, Urbino 2007, p.43.

(E. T.)