Buscalferri Aldo

Caldarola (Mc), 24 agosto 1900 – Ivi, 22 marzo 1944

Il padre è un convinto repubblicano. Aldo dapprima abbraccia gli ideali del socialismo ma già nel 1921 è segretario del gruppo comunista di Caldarola. Intraprende la professione di sarto, ma si serve anche della sua passione per la musica. Ha imparato giovanissimo a suonare il clarinetto, è componente della banda cittadina, poi ne diviene direttore, mentre nel corso degli anni altri comuni vicini lo chiamano a dirigere le proprie bande musicali. Nel maggio 1923 è arrestato in previsione dei festeggiamenti del primo maggio. Il 13 gennaio 1924 è ancora arrestato per scontri con i fascisti e recluso nelle carceri di Tolentino. Il 29 marzo 1925 è di nuovo arrestato a Macerata assieme a Crucianelli con l’accusa di incitamento all’odio di classe e sconta due mesi di carcere tra Macerata e Santa Palazia ad Ancona. A Caldarola il fascismo gli rende la vita impossibile tanto che le ristrettezze lo costringono ad affidare il suo primogenito alla sorella che vive a Roma. Nel 1930 si trasferisce a Serrapetrona, ma la situazione non migliora e fa ritorno a Caldarola. Oramai vive solo con gli affidi delle bande musicali dei comuni limitrofi a Caldarola, che gli riconoscono professionalità e grande umanità. Nel marzo 1932 è a Roma a far visita a suo figlio e il segretario del fascio di Caldarola lo segnala subito alla questura della capitale con la falsa indicazione che è nella capitale per attentare alla vita del duce; arrestato si fa quaranta giorni a Regina Coeli. Nell’aprile del 1937 promuove una raccolta di fondi per alcune famiglie di comunisti di Tolentino rinchiusi in carcere. Scoperto per colpa di un delatore è rinchiuso nelle carceri di Macerata e proposto per il confino: “Comunista convinto ed irriducibile, intelligente e scaltro, capace anche di svolgere attiva propaganda sovversiva di compiere atti inconsulti”. Scatta la condanna, un anno a S. Mauro Forte in Lucania. Sua moglie conosciuta e stimata in paese è aiutata dagli amici a far crescere i suoi tre piccoli figli. Per fortuna il confino dura pochi mesi, nel Natale, dello stesso anno, grazie a un condono, viene prosciolto. Rientra a Caldarola, dove è stimato da molti al di là delle sue idee politiche, “Alduccio”, così lo chiamano i suoi concittadini lo aiutano ad andare avanti anche negli anni difficili della guerra. La polizia continua a vigilarlo, ma la situazione sta cambiando. Con la caduta del regime, Aldo riorganizza subito il Partito comunista a Caldarola, e dà vita al movimento partigiano nella zona, coinvolgendo anche i suoi due giovani figli Toto e Fedro. La sua abitazione in via del Cassero, verso il Castello, diventa centro di raccolta di materiale per le bande di montagna e smistamento dei giovani che non vogliono arruolarsi nell’esercito repubblichino. A dicembre Aldo decide di trasferire tutta la famiglia nella frazione di Vestignano, ha paura di rappresaglie visto che tutti sanno della sua attività. È nominato commissario politico della nuova brigata che cerca di nascere nei primi giorni del marzo 1944; anche gli alti gradi dell’esercito gli riconoscono competenza e soprattutto grande ascendente sulla popolazione. Si è nei giorni tristi del massacro di Montalto. Il 22 marzo Aldo come sempre è in prima fila, al corrente del rastrellamento, si mobilita per cercare di salvare il salvabile, una pattuglia di rastrellatori lo intercetta a Pian di Favo sulla montagna di Pievefavera che sovrasta Caldarola. Ferito ad un ginocchio arresta la fuga ed è finito con una raffica di mitra al volto. Il suo cadavere viene ritrovato il giorno dopo dai suoi compagni.

Fonti: Archivio IRSM, fondo “Testimonianze, diari, memorie”, fasc. 46 (Buscalferri Fedro).

Bibliografia: M. Petracci, “Pochissimi inevitabili bastardi”. L’opposizione dei maceratesi al fascismo. Dal biennio rosso alla caduta del regime, il lavoro editoriale, Ancona 2009; R. Lucioli – S. Massacesi – M. Papini, Il Pci nelle Marche dalle origini al “partito nuovo” (1919-1945), affinità elettive, Ancona 2022.