Gino Tommasi

Dogna (Udine) 19 settembre 1895 – Mauthausen (Austria) 5 maggio 1945.

Suo padre è manovale delle ferrovie e lo lascia orfano in giovane età. Tommasi ha altri due fratelli, uno muore nel corso della Prima guerra mondiale, l’altro è dato per disperso negli Stati Uniti (sembra morto nel terremoto di San Francisco del 1906). Anche Gino partecipa alla Prima guerra mondiale come sottotenente dell’artiglieria alpina. Si congeda con il grado di tenente di complemento, verrà successivamente promosso capitano nel 1933 e maggiore nel 1942. Terminata la guerra il giovane Tommasi svolge umili lavori per potersi mantenere e portare a termine l’università. Si è infatti iscritto ad ingegneria a Bologna, e con impegno e sacrifici, si laurea. Inizia subito un’attività privata, dimostrandosi professionista di un certo livello. All’inizio degli anni Venti si trasferisce ad Ancona. Nel 1922 risulta iscritto al Partito Socialista Unitario Italiano. Ad Ancona, oltre la professione privata, ricopre anche il posto d’ispettore dell’Associazione nazionale per il controllo dei combustibili. Fermamente antifascista rifiuta sempre la tessera del fascio e questo non lo facilita nel suo lavoro. Al contrario subisce persecuzioni e ingiustizie ma resta coerente alle sue convinzioni politiche, sostenuto in questo, dall’ambiente che trova ad Ancona, città con forti tradizioni antifasciste e progressiste, e dalle sue frequentazioni. Completa la sua formazione politica quando tra il 1941 e il 1942 aderisce al Pci insieme al suo fedele amico, ex simpatizzante anarchico, Luigi Ruggeri. Nel frattempo, si è sposato con Alma Vecchini (sorella del noto gerarca fascista Rodolfo) da cui ha tre figli il più grande è Giorgio. Con l’inizio dei bombardamenti su Ancona, Gino sfolla con la famiglia a Numana. È esonerato dal servizio militare per la sua carica di ispettore regionale per il controllo dei combustibili. Dopo il 25 luglio 1943 inizia concretamente la sua attività antifascista, aderisce subito alla Concentrazione Antifascista e nei giorni seguenti l’8 settembre è uno dei più decisi sostenitori della difesa armata di Ancona, da una possibile occupazione tedesca, e si mobilita attivamente per lo scopo. Prepara addirittura un piano di difesa della città, ma la sua volontà di immediata resistenza, non viene recepita dagli apparati militari. Occupata Ancona dai tedeschi, a Tommasi viene affidato, dalla Concentrazione Antifascista, il comando della Guardia Nazionale, l’iniziale braccio armato della Resistenza. In questo contesto di lotta clandestina assume il nome di battaglia di “Annibale”. Inizia un’opera capillare per organizzare il movimento di Resistenza nella regione. Si sposta continuamente per prendere contatti, dare l’imputo per formare gruppi clandestini armati e pronti allo scontro, è punto di riferimento per chi vuole iniziare la lotta contro i nazifascisti. Il suo primo sforzo organizzativo è rivolta alla provincia di Ancona. Si reca a Sassoferrato pochi giorni dopo l’armistizio e convince Diego Boldrini, già noto antifascista del luogo, ad entrare nella Resistenza armata e ad organizzarla nella zona di Sassoferrato e Fabriano. Poi passa a Serra San Quirico a convincere un altro noto antifascista, Goffredo Lucarini, a formare un gruppo armato. Viaggia quasi sempre in compagnia, soprattutto di Rodolfo Sarti militante comunista segretario della federazione clandestina del Pci di Macerata. Nella prima fase spesso anche con Egisto Cappellini, responsabile del Pci regionale, per verificare la situazione nelle altre provincie. Nel pesarese, presente anche Luigi Ruggeri (rappresentante del Pci in seno al Cln regionale), si reca alle pendici del monte Catria per constatare la possibilità di formare gruppi partigiani nella zona. Ai primi di ottobre è nell’ascolano, e precisamente a Porto San Giorgio, sempre con Sarti e Cappellini, entra in contatto con Giambattista Gentili ex ufficiale di complemento e con il maggiore Arturo Strinati che si occupa degli imbarchi di ex prigionieri inglesi per il sud. Tommasi è convinto che il successo del movimento resistenziale non possa fare a meno di un comando militare unico, capace di gestire anche le diversità politiche delle forze che lo rappresentano, per questo cerca sempre di evitare i contrasti ideologici, che inevitabilmente sorgono all’interno del Cln e a volte tra i componenti le stesse bande. Questo suo comportamento gli permette di garantirsi la stima incondizionata di tutti i rappresentanti degli altri partiti, soprattutto degli azionisti. Ma al tempo stesso tale modo di agire lo porta a subire forti reprimende dal suo partito, che lo richiama con fermezza, come in occasione del patto di pacificazione con i fascisti sottoscritto nei giorni successivi all’armistizio; o sempre nella fase iniziale sulla sua strategia operativa, più vicina alle posizioni di attesa degli azionisti, propensi ad azioni in grande stile sotto il comando e controllo degli alleati, che ad agire di propria iniziativa sfruttando la tattica della guerriglia come dalle direttive emanate dagli apparati militari del partito. Gino recepisce le critiche, per lui la cosa più importante è dare scacco ai nazifascisti e per farlo bisogna organizzare la Resistenza sul territorio, se si tratta di guerriglia occorre formare le bande. Il 10 novembre è tra gli organizzatori di un convegno tra esponenti antifascisti e membri della Resistenza che si tiene a Cingoli, dove si discute sul comando unico per le provincie di Ancona e Macerata, ma un gusto alla moto non permette a lui e Sarti di essere presenti all’appuntamento. Un mese dopo il convegno si ripete sempre a Cingoli, allora zona completamente controllata dai partigiani. In quell’occasione, seguendo le sue direttive, si decidono i comandanti di zona: Ottavio Ricci (Nicola) per Pesaro, Tommasi per Ancona e il col. Zonghi per Macerata (per Macerata doveva essere il ten. Cingolani già comandante del gruppo omonimo, il quale però viene arrestato mentre si stava preparando per giungere all’incontro).  Nei primi di gennaio del 1944 vengono stampati a Falconara, probabilmente da esponenti del Partito d’Azione, volantini che attaccano l’operato dei comunisti ed è Tommasi che interviene per riappacificare gli animi. Nella importante riunione del 14 gennaio nei pressi di Falconara, alla quale parteciparono esponenti del Cln regionale ed emissari del governo del sud, Tommasi è confermato nel ruolo di comandante militare della brigata Garibaldi Ancona, (il nome di Guardia Nazionale era già stato abolito da precedenti indicazioni del Cln per non confondersi con quella della RSI). L’incontro è della massima importanza perché stabilisce il modo di agire della Resistenza, il ruolo politico preminente del Cln, la funzione strategica del comando unico. Nella stessa riunione Tommasi nomina come suo vice l’azionista Amato Tiraboschi. Sul finire di gennaio e ai primi di febbraio 1944 è di nuovo nel maceratese. Incontra il generale Melia, inviato dal governo del sud per prendere, in qualità di ufficiale del Sim (Servizio informazioni militari), il comando militare della Resistenza nella regione e poi il vescovo di Camerino mons. Umberto Malchiodi. Temi degli incontri il comando unico e la situazione delle bande nella regione con Melia; mentre nell’incontro con il vescovo, Tommasi cerca di rassicurarlo sulle reali intenzioni del movimento resistenziale. L’appoggio della chiesa è importante; sull’assetto politico e istituzionale futuro del paese, ci sarà modo di intervenire dopo la liberazione. Annibale è fermamente deciso a coinvolgere tutti nella lotta ai tedeschi e ai fascisti, senza far pesare il ruolo di preminenza del Pci.  Questo suo atteggiamento non è condiviso da tutti ai vertici del partito, ma la sua capacità di manovra e la sua influenza nell’ambiente resistenziale, oltre ad una stima incondizionata, lo rendono punto di riferimento insostituibile. Dopo l’incontro con il vescovo Gino cerca anche di prendere contatti con la banda di Visso e con Capuzi, ma è costretto a desistere per la presenza massiccia dei nazifascisti nella zona, si ripromette di farlo successivamente e intanto ritorna ad Ancona. Per avere un quadro reale della situazione, Cappellini responsabile regionale del Pci convoca, l’8 febbraio, una riunione a San Pietro in Calibano con tutti i dirigenti regionali del partito (manca quello di Ascoli). In quella riunione Tommasi relaziona sulle sue iniziative e sulle sue intenzioni per le attività future. Il partito, oltre a riconfermargli la piena fiducia nel suo incarico, decide, per motivi di sicurezza e organizzativi (posizione più centrale per dirigere il movimento partigiano delle provincie di Ancona e Macerata) di trasferirlo nel maceratese, a Matelica.  Il mattino del nove, di ritorno da quella riunione, l’auto in cui viaggia ha un incidente nei pressi di Castelferretti. Gino ne esce incolume e decide di rientrare a casa, in Ancona, a piedi. Probabilmente è notato e la sua abitazione in via Isonzo è messa sotto sorveglianza. Il primo pomeriggio dello stesso giorno è tratto in arresto, mentre, raggiunta casa, è in attesa di un corriere a cui aveva trasmesso direttive prima di partire. La Gnr che ha eseguito l’arresto, per motivi di sicurezza, il giorno seguente lo trasferisce nel carcere giudiziario di Pesaro. Ma anche a Pesaro la sua permanenza è breve, dopo pochi giorni passa nelle mani dei tedeschi che lo spostano nelle loro sedi di Forlì. Interrogato e torturato, Tommasi non crolla e ribadisce la sua posizione. In quanto militare, anche se non in servizio attivo, si era attenuto alle direttive della circolare n.333 del 10-12-1943 del comando supremo italiano, alle dipendenze del governo italiano presieduto dal generale Badoglio. A consolarlo le visite della moglie Alma, che farà di tutto per ottenere la sua liberazione Intanto ci si mobilita per tentare la sua scarcerazione. Si pensa di catturare il console fascista Gardini comandate delle forze repubblichine in provincia di Ancona per proporre un eventuale scambio. Ma il tentativo va a vuoto. Non riuscendo ad ottenere nulla dagli interrogatori, viene trasferito a Macerata, siamo verso la fine di marzo, per essere sottoposto a processo dal tribunale militare tedesco. Tommasi mantiene la sua linea difensiva dichiarata fin dal suo arresto. Dal processo esce assolto. A Macerata Gino è trattenuto nella caserma “Corridoni”. Anche in questa fase viene studiato meticolosamente un colpo di mano per liberarlo. Tra i promotori ed esecutori anche Sarti, Pianesi, Crucianelli e Mercuri ma i fascisti insospettiti lo trasferiscono segretamente a Perugia, al comando della Gnr. Da Perugia è fatto partire per Rimini, forse ripassa per Forlì, per poi giungere a Fossoli poco dopo la metà di aprile. Qui il figlio Giorgio lo vide per l’ultima volta. Il 21 giugno del 1944 l’ultimo trasferimento, destinazione Mauthausen dove arriva il 24. Resta undici mesi tra Mauthausen e i campi limitrofi, vivendo la disperata vita dei campi di sterminio. Muore il 5 maggio 1945, lo stesso giorno, poco dopo la sua morte, il campo veniva liberato dagli americani. Nel 1951 il Consiglio comunale di Ancona ha intitolato una via a suo nome.

Fonti:

A. Bevilacqua, Gino Tommasi (Annibale) V^ Brigata Garibaldi, affinità elettive, Ancona 2020;

M. Papini, L’intelligenza della politica. Cento protagonisti del Novecento marchigiano, affinità elettive, Ancona 2016, pp. 320-323;

R. Giacomini, Storia della Resistenza nelle Marche, affinità elettive, Ancona 2020.